Cuore (I)

pallinarossa3

Percorrevo il lungo corridoio dell’ospedale. I vari reparti mi scorrevano ai lati. Rianimazione… terapia intensiva… pronto soccorso. Il rumore dei passi rimbombava sulle pareti.  A volte incontravo statue di santi e madonne attorniate da miriadi di fiori. Qualche vecchietta malata si fermava lì per dire qualche parola a quel pezzo di marmo colorato dalle sembianze umane. Dura cosa la fede. Sperodi non averne mai bisogno. Per ora la lascio agli altri. Per ora… mi affido a me stesso.

Mi fermai… ero arrivato.. il reparto era quello giusto… la porta era chiusa.. aspettai. L’infermiera m’informò che c’era un paziente all’interno e mi chiese di aspettare. Passeggiai per il corridoio per ingannare il tempo. Appesi alle pareti c’erano i disegni dei bambini. Il tema dominante sembrava lo stesso… una spiaggia… il mare… gente che si divertiva e rideva. I disegni dei bambini a volte sono fantastici. Dal modo in cui disegnano le cose o le persone si può capire cosa desiderino in realtà. Appeso c’era il disegno di una bambina di tre anni di nome Chiara. Aveva disegnato un cuore con un pastello rosso. E nella sua imperfezione e semplicità risultava bellissimo. All’interno di quel cuore, grossomodo, si notava la figura di una donna. Magari era la mamma di quella splendida bambina. Sperai solo che non si trovasse lì per qualcosa di grave.

“Umanizzazione dell’ospedale” veniva chiamata quella forma d’arte. Ossia dare un volto più gradevole a quel luogo di sofferenza… e sperai che quei dipinti alle pareti allevieassero anche le mie di sofferenze.

Tum.. tum..

Tum.. tum..

Il cuore riprese a farsi sentire. Riprese a martellarmi il petto come a dire “sono qui e non puoi fermarmi”. Mi rassegnai… alzai gli occhi e rilessi il nome del reparto.

Cardiologia

 

 

..Ricordi in random..

 

Avete mai fatto degli errori nella vita? Dico davvero. Alzi la mano chi non ha mai fatto una cazzata nella vita. E non sto parlando di piccole stronzate da ragazzi tipo in motorino senza casco… o  fumare droghe leggere. Parlo di qualcosa di più… qualcosa di grosso. Qualcosa che ti rimane sulla coscienza a vita e mai se ne andrà. E a peggiorare le cose ci si mette anche quel cavolo di “senno di poi” a dire ininterrottamente: “poteva andare in un altro modo, le cose in fondo non erano poi così male”. Perché cambiarle Ciro? Perché? E non starmi lì a dire le solite stronzate. Le solite scuse che rifili agli amici. O per meglio dire i tuoi genitori. Io sono qui… sono più vicino di quanto credi. Io sono il tuo cuore… che ora si ribella e non vuole più starti a sentire. Il tuo cuore purtroppo sa tutto. La mente può a volte dimenticare… essere ingannata… offuscata da qualcosa di non sempre legale. E alla fine creare la felicità apparente, quella che ti piace tanto. Una bella pennellata di bianco su un muro marcio da anni. Non serve a niente. Dopo pochi giorni la muffa e il marciume tornano alla vista. E le vie sono due: o continuare a rimbiancare… o abbattere definitivamente quel muro. La metafora magari non è delle migliori ma il senso si è capito.

La frase “puoi mentire a te stesso ma non puoi mentire al tuo cuore” mi aveva sempre fatto sorridere. Non ci credevo tanto. Perché logicamente le parole, i fatti e le azioni passano dalla bocca, dai muscoli, dagli occhi alla mente. E qui formano i ricordi. Questi coltelli dalla punta affilata che il più delle volte possono far male. E mi sta anche bene stare male per un ricordo “pesante”. Ma quando succede il processo inverso come si spiega? Cioè… se si sta male prima ancora di sapere la causa che genera il dolore? Se il cuore ti inizia a pompare all’impazzata senza un reale motivo iniziale… Se il petto ti fa male a tal punto da darti pugni per la rabbia immotivata… Se non riesci a dormire… ed inizi pensare. E lì parte la vaga ricerca del “motivo”. Del mio perché. E sbaglio… sbaglio… sbaglio. Ogni volta. Ogni santa volta. Perché la mente ricade negli errori. Negli sbagli che ho commesso in passato. E il dolore peggiora. Si fa più acuto… come se ora conoscesse il mio punto debole. Dannato cuore.

 

– Si può vivere senza? –

Il dottore mi fa un sorriso e mi fa entrare.

20 Novembre 2006…

Lodi parchetto 20 novembre 2006

Un magico parchetto…

Sul piccolo sentiero di quel parchetto, c’era un fitto strato di foglie dalle varie tonalità di giallo. Si andava dal rosso intenso delle foglie secche al giallo limpido di quelle appena cadute. Ce n’erano tantissime in giro e molte altre ancora attaccate ai rami degli alberi nell’attesa di cadere da un momento all’altro durante una raffica di vento. Il cielo era semi-coperto e il sole stava tramontando dietro un gruppo di palazzi, regalandoci gli ultimi attimi di luce di quella stupenda giornata. La terra era un po’ umida, forse perché qualche giorno prima aveva piovuto e il sole non era riuscito a “rimettere a posto le cose”. Beh… l’autunno è così. Fatto di giornate fredde e piovose alternate spesso a momenti in cui il sole compare sulla scena. Ciò che non manca mai, invece, è il vento. Quello sì che si trova spesso lungo le tranquille passeggiate serali. Spesso da molto fastidio, ma altre volte invece, sembra un contorno magico che ondeggia i capelli e un motivo plausibile per stringere un po’ di più la tua “lei” al tuo cuore in un caldo abbraccio. E di abbracci, quella giornata, ne aveva visti parecchi e forse anche qualcosina in più che solo tre persone potevano capire. Io… lei… e un tenero pupazzetto di nome Bibo. Quel pupazzetto ora giaceva in una cartella indisturbato, tra libri mai aperti ed appunti stropicciati. Stranamente quella cartella era sulle mie spalle e quel leggero “peso” mi trascinava un po’ indietro con gli anni. A quando ero ancora un ragazzino ed utilizzavo il mio zaino della Seven per portare i miei libri a scuola. Di solito lo portavo su una spalla sola, la destra, e mi sentivo quasi a disagio ad averlo su tutte e due. Ero abituato così perché dovevo toglierlo subito quando per esempio entravo in macchina o tornavo stanco a casa e quello zaino veniva buttato rapidamente chissà dove. Chiaramente, lo zaino che portavo ora sulle spalle non era il mio, ma di una dolce ragazza che passeggiava insieme a me tra le migliaia di foglie cadute. Beh… la galanteria rientra nelle mie doti, anche se la nascondo spesso perché le donne sanno approfittarsene molto bene. Ma in quel caso lo facevo volentieri, dopotutto non potevo far stancare degli occhioni così dolci e convincenti.
– Dove stiamo andando? –
– Voglio portarti in un posto… – disse lei.
Ci stavamo avvicinando a un gruppo di alberi immersi nel verde di questo parchetto. Eravamo quasi al centro e il cancello da cui eravamo entrati si faceva sempre più lontano. Le foglie per terra erano più fitte tanto che non si riusciva a distinguere se camminavamo sul sentiero o sulla terra. Ai lati ogni tanto comparivano fredde panchine e piccole giostrine. Svago di chissà quali bambini che di giorno frequentano quel posto. L’oscurità stava calando rapidamente e a poco a poco si accendevano i lampioni delle strade. Tutto contribuiva a rendere la passeggiata più magica.
– Ecco. Vedi quegli alberi? –
– Si… –
– Andiamo lì… –
E la seguii trattenendo la sua mano che mi faceva da guida. Ci dirigemmo verso un gruppo di 4 alberi disposti quasi a formare un cerchio. Solo che non erano perfettamente diritti verso l’alto, ma avevano assunto negli anni una forma obliqua che li rese un comodo appoggio per chi voleva sedersi.
– Sediamoci qui… –
Ci abbracciammo e guardammo il cielo leggermente nuvoloso.
– Sai… vengo spesso qui… mi siedo su uno di questi alberi… e penso… –
– A cosa pensi? –
– Beh… penso a un ragazzo moro… alto… antipatico a volte… testardo… ostinato… che non mi lascia mai finire di parlare… Vabbè… ma anche molto romantico… ma poco… proprio poco così… –
Sorrisi e fingendo di arrabbiarmi e chiesi – …e chi sarebbe questo?..-
– …è seduto proprio accanto a me! –
L’abbracciai più intensamente e insieme guardammo il paesaggio. Il sole oramai era scomparso e la notte era diventata l’unica testimone del nostro amore. Era perfetto. Una perfetta serata d’amore. Eccetto forse per qualche mia battuta sarcastica che potevo anche risparmiarmi. Ma sono fatto così… che ci posso fare. So essere molto ironico.. ma anche molto romantico nei momenti delle magiche notti d’autunno.
– Ti amo piccola… – dissi guardandola intensamente negli occhi.
Lei sorrise e arrossendo abbassò lo sguardo…
– Ti amo anch’io… – mi rispose.
Essere felici è come chiedere al tempo di fermarsi. Un po’ come dire “stop” alla vita e chiederle il permesso di prolungare quell’attimo fantastico, muovendosi al rallentatore come in una sorta di moviola romantica di un semplice attimo. Come uno scambio di baci infinito in un intreccio di abbracci o uno sguardo intenso, ricco di parole difficili da pronunciare. È un’infinita giostra da cui non vuoi scendere perché sul biglietto c’è scritta a chiare lettere la parola “amore”. Quell’amore che hai sempre sognato. Intenso, puro, fantastico. Quello fatto di due cuori che battono all’unisono e che non si scontrano mai. Quello fatto di baci che trasmettono intense scariche elettriche ai corpi in modo da non poterne più fare a meno. Quello fatto di profumi indimenticabili impressi sulla pelle di entrambi che si mescolano ogni volta che vengono a contatto.
“Aveva ragione… era perfetto…”
Anche se a volte gioia e malinconia si fondevano in questo gioco di vita, quella era la vita che avevo scelto e che avrei proseguito in un’unica direzione senza voltarmi al passato. Perché altrimenti rischierei di ricadere ancora nel vuoto. L’abisso della paura dell’amore. Un timore che per sfortuna è ancora dentro me e sarà difficile estirparlo. E ce la sto mettendo tutta per potermi fidare ancora di quell’immensa forza misteriosa. Odio dirlo… ma ho paura dell’amore. Perché è l’unica cosa che può uccidermi.

– Dopotutto quello che ho passato… dopo tutte le storie “storte” che si sono susseguite… il mio cuore ha perso qualche pezzo per la strada… E ne è rimasto solo un piccolo pezzettino… E quel pezzettino l’hai preso tu… Mi raccomando… trattalo bene… perché  l’unica cosa che mi tiene ancora in vita è la consapevolezza che esista una “bambolina” che ha in custodia il mio amore… Certo… ci sono stati momenti in cui tutto è stato in “bilico”… ma ora tutto è cambiato… Ognuno ha capito i propri errori… e credo che mai più si verificheranno… almeno io ce la metterò tutta perché ciò non accada… e sono sicuro che anche tu mi darai una mano… restando accanto a me… vivendo attimi felici con me… per tutto il tempo che questa vita potrà concederci… ti amo bambolina… grazie d’esistere. –

Forse ritornare ad amare non è poi così tanto difficile. Basta solo crederci. Crederci e sperare di nuovo che il passato non si ripresenti alla tua porta o sul tuo telefonino con un semplice messaggio d’addio. Il passato fa male… Ma come dico sempre io:

“…lasciamoci il passato alle spalle… non pensiamo al futuro… e viviamo il presente…”

…Tienilo stretto il mio pezzettino di cuore…
…altrimenti non potrei vivere…
…So che tu lo custodirai bene…
…Perché mi fido di te…

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