Un amore ghiacciato…

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“…perché c’era una sorta di magia nei suoi occhi…
…quella magia che mi aveva fatto innamorare…
…ed ora era lì…
…che danzava inesperta sul ghiaccio…”

Ore 12
Avevo da prendere un treno per Lodi e non dovevo fare tardi, ma soprattutto, non dovevo dimenticarmene. A volte mi succede di distrarre un po’ troppo la mia attenzione vagando nel vuoto dei pensieri. Ok… dov’ero rimasto? Ah sì. Come dicevo, dovevo prepararmi. Maglietta, jeans, scarpe, una pettinata ai capelli, profumo. E invece ero ancora sul letto ad oziare beatamente. Fino a che non mi feci coraggio e spensi la tv.
Ok… si parte!
Il cielo era grigio e tirava un leggero venticello che faceva sentire perfettamente che eravamo all’11 dicembre. Potevo portarmi i guanti, ma le tasche servivano solo a metterci le  chiavi di casa e il resto del caffè. Così, leggermente infreddolito, aspettavo il mio treno alla solita stazione… ed anche al solito binario… con persone indifferenti e annunciatori distratti.
“Il treno per Verona è in ritardo di 48 ore.”
Poveri passeggeri. Mai affidare il proprio sedere a Trenitalia. Perché sanno fin troppo bene cosa farsene!
Beh, menomale che il mio treno era diretto in tutt’altra direzione. Ammesso che arrivasse.
Arrivò.
Nell’attesa, rivolsi il mio sguardo a ciò che mi proponeva il finestrino. Il mio Ipod vagava in modalità casuale tra le sue innumerevoli canzoni. Ogni tanto chiudevo gli occhi, convinto che forse quella bellezza non esisteva. La bellezza della vita. La bellezza della natura.
Pensavo alle complicazioni che avvenivano sempre in momenti sbagliati. In cui desideri un attimo infinitesimo di stabilità mentre tutto il mondo ti avvolge. E ti chiudi in te stesso per avere un senso di protezione irrisorio regalato dal chiassoso silenzio del gongolio del treno.

Ero arrivato e aspettavo la mia ragazza all’ingresso della stazione.
Eccola lì… in tutto il suo splendore.
– Che facciamo?..-
– Beh… non so… –
– Hai fame? –
– Si un po’… –
– Allora ci mangiamo qualcosa! E poi vediamo! –
– Ok! –
Entrammo in un bar e ci sedemmo a un tavolino. Finalmente eravamo un po’ al caldo. Lei aveva le mani ghiacciate così gliele strinsi cercando di riscaldarle.
Ordinammo dei panini. Due per me, uno per lei. Perché non avevo fame!
Conto… caffè… e passeggiata nella piazza centrale.
Guardavamo le vetrine.
Lei le scarpe…
Io i telefonini…
Lei i vestiti..
Io i manichini…

– Ahia! Dai! Ma è un manichino! –
– …di una donna! –
– Appunto! –
– Ahia! Ok ok… pace! –
Arrivammo al parchetto tra battute e schiaffi che volavano a destra e manca. Sopravvivendo entrambi senza troppi rimorsi ma con qualche sorrisetto furbetto ancora da calmare.
In lontananza si vedeva la pista da pattinaggio allestita all’aperto in mezzo alla piazza.
Non avevo mai pattinato in vita mia. Tutto quello che avevo fatto e che poteva somigliare al pattinaggio era sciare ed andare sui roller. Pesavo che fosse un misto tra i due con  qualcosa in più… ma non lo sapevo ancora…
E nemmeno lei…
– Pattiniamo? – le proposi.
– Dai… non so pattinare! –
– Nemmeno io! Impariamo! –
– Ma guarda quelle due come sono brave! Lo so già che cadrò e tu riderai! –
– Può darsi che cada prima io? No? –
E dopo vari convincimenti… ricatti e seduzioni di vario tipo, presi due biglietti e due paia di scarponi.
– Gli scarponi sono simili a quelli per gli sci… aspetta… quello devi metterlo lì… –
– So fare benissimo da sola! –
Non ci potevo fare niente, purtroppo me l’ero scelta testarda.
– Dai… lascia fare a me che ti aiuto. –

E un attimo dopo eravamo dentro. Io in mezzo alla pista, lei chiaramente attaccata al bordo come un bambino alla sua mamma.
Dopotutto era la sua prima volta. Quindi la lasciai un po’ tranquillizzare, anche perché le sue parole avevano una cattiva intonazione!
– Vattene via!! – mi rispondeva appena provavo ad avvicinarmi.
Dopo un po’ mi abituai ad avere ai piedi quei cosi. Bastava portare un po’ il peso in avanti e via… si scivolava da Dio. Con qualche incertezza riuscivo ad andare anche abbastanza veloce. Facevo il giro della pista e ritornavo da lei che aveva percorso solo un paio di metri.
– Dai…  prendimi la mano… e vieni via con me… –
E come nell’amore reale, un piccolo gesto di fiducia risvegliava i nostri cuori. Gli occhi erano impegnati a fissare il ghiaccio per il timore di cadere. Le nostre mani si tenevano l’una all’altra… sfiorandosi e stringendosi… allontanandosi per qualche istante per poi riprendersi e ritrovarsi. Era come un gioco. Come una sfida… e lei era bravissima, quasi meglio di me. Danzava, mentre la musica ci cullava e ci trasportava in questo girotondo di persone. Era stupendo pattinare insieme a lei. Abbracciandola e sorreggendola ogni volta che aveva bisogno. Punzecchiandola ogni tanto cercando di farla cadere. Guidandola… portarla vicino al bordo e baciarla… con le labbra che sapevano d’amore.
E la sera scendeva… mentre le luci ci tenevano compagnia… con la folla che ci osservava curiosa.

…In un giostra infinita…
…che girava in una sera di un amore ghiacciato…

Dall’alto di un cielo infinito…

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La giornata era molto soleggiata, ottima per una bella giornata in piscina. L’afa era troppa e un bel bagno avrebbe rinfrescato un po’ le idee a chi forse di idee non ne aveva, come me. E Infatti, l’unica idea che mi venne fu quella di andare in piscina.

Triiiiiiiiiiinnnn   triiiiiiiiiiinnnn…

Il rumore del cellulare mi svegliò. L’avevo lasciato acceso perché sapevo che mi avrebbe chiamato “qualcuno”.
– Pro-oo-nto… – risposi con una voce assonnata.
– Ciro, guarda che ho preso il pullman… ma stai ancora dormendo? –
– Nooo… che ore sono? –
– Le 10 e mezza… tra quanto dovrei essere lì? –
– Beh… verso le 11 e 20 ti vengo a prendere alla stazione… ok? –
– Ok. –

Misi giù il telefono e misi giù anche la testa sul cuscino. “No! Mi devo svegliare! Devo prepararmi!”
Pantaloni, maglietta, scarpe… qualche ritocchino qua e là ai capelli. Perfetto… ora pensiamo al piano…
1. Cambiare mese al calendario di Angelina Jolie.
2. Pensare al piano!!
Allora… macchina? Niente… si prende la Vespa!

11.20
Si parte.
Correvo come un forsennato tra le stradine di campagna e le vie della città. La marmitta che aveva montato mio fratello, dovevo ammettere, che andava da Dio. Arrivai alla stazione in pochi minuti e lei era lì ad aspettarmi… bella come sempre: occhiali scuri, vestitino leggero, infradito. Mi guardò, mi diede un bacio e mi chiese la meta. Le risposi: – in piscina! – e accelerai con lei seduta dietro che si aggrappava a me.
Non che sia una di quelle piscine megagalattiche extralusso, ma nel suo piccolo la sua figura la faceva… e poi c’era anche il pagliaccio a forma di doccia!
Entrammo e c’incamminammo lungo le piscine come se fossimo stata una coppietta appena uscita da un fotoromanzo. Lei si guardava intorno cercando di orientarsi, mentre io proseguivo diritto già conoscendo il posto. Dopotutto questa era la zona dove ho sempre vissuto ed era giusto che sapessi ogni minima cosa. Scegliemmo un ombrellone e ci facemmo portare due lettini.
– Io mi faccio la doccia sotto al pagliaccio! – dissi con aria da eterno bambino.
Lei mi guardò, sorrise  e cercando di racimolare tutta la serietà che poteva, mi disse:
– Se la fai… ti lascio! –
– Ok… ciao allora… – le risposi con tono secco.
Tornai tutto bagnato e mi sedetti vicino a lei lungo il bordo della piscina con i piedi a mollo nell’acqua.
– Com’è andata? – mi chiese trattenendo a stento il risolino.
– Beh, all’inizio ha fatto un po’ il difficile… ma alla fine sono riuscito a manovrarlo bene! – dissi ironicamente.
– Ma com’è bravo il mio bambino! – disse lei spazzolandomi i capelli come si fa ai bambini quando li si vuole premiare.
Io per tutta risposta la spinsi in acqua. (Così imparava a non farsi la doccia con il pagliaccio!)
Mi buttai anche  io, con un bel tuffo a giudicare dalla giuria. Nuotai sott’acqua fin da lei che si era spinta all’altro lato. L’abbracciai da dietro e le sussurrai che era la cosa più bella del mondo. Lei mi sorrise e mi baciò. Poi mi schizzò… e mi ribaciò ancora… ma poi ancora mi schizzò… niente… non si poteva raggiungere un compromesso… e la schizzai anch’io… e lei ribatté schizzandomi a sua volta… allora la travolsi con una mega onda stile coste dei caraibi. Lei si girò strizzandosi gli occhi e tossendo come se avesse bevuto dell’acqua. Mi avvicinai per vedere se stava bene e lei all’improvviso mi spruzzò dell’acqua con la bocca. Era nata una nuova guerra. Risposi anche io… e lei ancora… e il resto lo potete immaginare.
Dopo abbracci e schizzi, finalmente uscimmo dall’acqua per prendere un po’ di sole.  Ci stendemmo sui lettini e ci mettemmo a riposare un po’, ascoltando la musica che dava il bar. D’un tratto proposi:
– Vogliamo giocare a Ping-pong? –
– Tanto ti batto… – rispose sicura di se.
– Si… tu… una donna! Battere me! Ma dai… –
– Ok allora… vediamo chi è il più forte! –
– Ok… –
Ci dirigemmo verso una fatiscente sala giochi e prendemmo le racchette e la pallina per il Ping-pong.
– Allora… facciamo un po’ di palleggi, così per riscaldarci. –
Ping… pong… ping… pong…
– Iniziamo ora… per la palla…-
Dovevo ammettere che la mia ragazza se la sapeva cavare con la racchetta. Mi son dovuto quasi impegnare per batterla… ed infatti il risultato lo sapete già. Due partite vinte per me… zero per lei.
E si ritornò sui lettini..
Io, fiero vincitore trionfante, lei , che reclamava la rivincita nelle prossime date.
– Vedi che ti ho battuto?! –
– È stata solo fortuna… perché hai vinto per poco! –
– Si vabbè… comunque io ho vinto… tu hai perso! –

La giornata andava via via sgocciolandosi come i nostri costumi ancora umidi. Erano circa le 5 di pomeriggio e il venticello fresco si faceva sentire. Così decidemmo di rivestirci e andarcene.
Passai a casa a prendere la macchina e ci facemmo un giro nell’attesa della nuova meta.
– Perché non ci prendiamo qualcosa al Martinika… è un posto carino… –
La guardai negli occhi, sembrava felice. Forse ero riuscito a donarle il sorriso almeno oggi. Le passai un braccio dietro la testa per solleticarle il collo muovendole un po’ i capelli. E dato che quella mano era occupata nelle coccole…
– Fra… mi metti la terza? –
– Non so come si fa… –
– Dai… devi andare su con quella leva! –
– Ecco… così va bene? –
– Ehm… no… quella è la quinta… –
– Ops… –
Così, piano piano, marcia dopo marcia arrivammo al Martinika.
Il posto era un bar chic con i tavolini all’esterno. Molto carino e forse fatto a posta per noi.
Ordinai due Baileys e ci sedemmo fuori.
Accendemmo la piccola candela che c’era sul tavolino. Ci baciammo fino a che il cameriere non ci portò le nostre bevande.
– A cosa brindiamo? – chiese lei.
– …a noi… a questa giornata, che pressappoco è andata bene… –

…Chin…
Vite…
Storie distorte di amori lontani che s’intrecciano in una giornata d’estate. Sole, Luna e in mezzo due cuori lucenti di gioia che battono come una campana di mezzogiorno. E magari si fingeranno stupiti delle piccole cose e così come per gioco, in questa notte, farà meno freddo.
“un posto isolato…”

È bastata anche solo una stella a farci compagnia. Una, ma la più splendente che c’era. E piano piano, la sera che diventava notte lasciava alle spalle la calda giornata. E noi eravamo lì, a cercare di non pensare, mentre vivevamo quegli attimi lasciando scorrere le parole in un misto di emozioni.
Baci e coccole non si riuscivano più a contare e la passione correva come il vento caldo di quella sera.
La macchina era ferma e le luci in lontananza erano troppo distanti per capire cosa fossero. Ed erano belle così, innocenti nel loro alone di purezza.
Ci guardavamo negli occhi come se fosse stata la prima volta. Come quando le nostre bocche si toccarono nel primo bacio… ma di baci ne erano passati parecchi… e le nostre lingue conoscevano già la strada del piacere.  E così via… si parte… spinti dal vento della passione che come un fiume in piena ci portava dove voleva. Baci, coccole, abbracci, intrecci di corpi e di anime, sorrisi, sguardi appassionati… mani che si sfioravano e si stringevano… bacini che si accostavano in un ballo molto sensuale…  e così via… Lungo la strada dell’amore… che, come una meta inarrivabile, ci spingeva ancor di più a cercarlo.

E magari si poteva fare di meglio… Qualche luce in più o una musica particolare… ma in fondo cosa importava? Bastavamo noi… Perché eravamo noi a creare la magia del luogo. Con una leggera brezza, qualche stella e la Luna, che splendente come non mai…
ci guardava dall’alto di un cielo infinito…

20 Novembre 2006…

Lodi parchetto 20 novembre 2006

Un magico parchetto…

Sul piccolo sentiero di quel parchetto, c’era un fitto strato di foglie dalle varie tonalità di giallo. Si andava dal rosso intenso delle foglie secche al giallo limpido di quelle appena cadute. Ce n’erano tantissime in giro e molte altre ancora attaccate ai rami degli alberi nell’attesa di cadere da un momento all’altro durante una raffica di vento. Il cielo era semi-coperto e il sole stava tramontando dietro un gruppo di palazzi, regalandoci gli ultimi attimi di luce di quella stupenda giornata. La terra era un po’ umida, forse perché qualche giorno prima aveva piovuto e il sole non era riuscito a “rimettere a posto le cose”. Beh… l’autunno è così. Fatto di giornate fredde e piovose alternate spesso a momenti in cui il sole compare sulla scena. Ciò che non manca mai, invece, è il vento. Quello sì che si trova spesso lungo le tranquille passeggiate serali. Spesso da molto fastidio, ma altre volte invece, sembra un contorno magico che ondeggia i capelli e un motivo plausibile per stringere un po’ di più la tua “lei” al tuo cuore in un caldo abbraccio. E di abbracci, quella giornata, ne aveva visti parecchi e forse anche qualcosina in più che solo tre persone potevano capire. Io… lei… e un tenero pupazzetto di nome Bibo. Quel pupazzetto ora giaceva in una cartella indisturbato, tra libri mai aperti ed appunti stropicciati. Stranamente quella cartella era sulle mie spalle e quel leggero “peso” mi trascinava un po’ indietro con gli anni. A quando ero ancora un ragazzino ed utilizzavo il mio zaino della Seven per portare i miei libri a scuola. Di solito lo portavo su una spalla sola, la destra, e mi sentivo quasi a disagio ad averlo su tutte e due. Ero abituato così perché dovevo toglierlo subito quando per esempio entravo in macchina o tornavo stanco a casa e quello zaino veniva buttato rapidamente chissà dove. Chiaramente, lo zaino che portavo ora sulle spalle non era il mio, ma di una dolce ragazza che passeggiava insieme a me tra le migliaia di foglie cadute. Beh… la galanteria rientra nelle mie doti, anche se la nascondo spesso perché le donne sanno approfittarsene molto bene. Ma in quel caso lo facevo volentieri, dopotutto non potevo far stancare degli occhioni così dolci e convincenti.
– Dove stiamo andando? –
– Voglio portarti in un posto… – disse lei.
Ci stavamo avvicinando a un gruppo di alberi immersi nel verde di questo parchetto. Eravamo quasi al centro e il cancello da cui eravamo entrati si faceva sempre più lontano. Le foglie per terra erano più fitte tanto che non si riusciva a distinguere se camminavamo sul sentiero o sulla terra. Ai lati ogni tanto comparivano fredde panchine e piccole giostrine. Svago di chissà quali bambini che di giorno frequentano quel posto. L’oscurità stava calando rapidamente e a poco a poco si accendevano i lampioni delle strade. Tutto contribuiva a rendere la passeggiata più magica.
– Ecco. Vedi quegli alberi? –
– Si… –
– Andiamo lì… –
E la seguii trattenendo la sua mano che mi faceva da guida. Ci dirigemmo verso un gruppo di 4 alberi disposti quasi a formare un cerchio. Solo che non erano perfettamente diritti verso l’alto, ma avevano assunto negli anni una forma obliqua che li rese un comodo appoggio per chi voleva sedersi.
– Sediamoci qui… –
Ci abbracciammo e guardammo il cielo leggermente nuvoloso.
– Sai… vengo spesso qui… mi siedo su uno di questi alberi… e penso… –
– A cosa pensi? –
– Beh… penso a un ragazzo moro… alto… antipatico a volte… testardo… ostinato… che non mi lascia mai finire di parlare… Vabbè… ma anche molto romantico… ma poco… proprio poco così… –
Sorrisi e fingendo di arrabbiarmi e chiesi – …e chi sarebbe questo?..-
– …è seduto proprio accanto a me! –
L’abbracciai più intensamente e insieme guardammo il paesaggio. Il sole oramai era scomparso e la notte era diventata l’unica testimone del nostro amore. Era perfetto. Una perfetta serata d’amore. Eccetto forse per qualche mia battuta sarcastica che potevo anche risparmiarmi. Ma sono fatto così… che ci posso fare. So essere molto ironico.. ma anche molto romantico nei momenti delle magiche notti d’autunno.
– Ti amo piccola… – dissi guardandola intensamente negli occhi.
Lei sorrise e arrossendo abbassò lo sguardo…
– Ti amo anch’io… – mi rispose.
Essere felici è come chiedere al tempo di fermarsi. Un po’ come dire “stop” alla vita e chiederle il permesso di prolungare quell’attimo fantastico, muovendosi al rallentatore come in una sorta di moviola romantica di un semplice attimo. Come uno scambio di baci infinito in un intreccio di abbracci o uno sguardo intenso, ricco di parole difficili da pronunciare. È un’infinita giostra da cui non vuoi scendere perché sul biglietto c’è scritta a chiare lettere la parola “amore”. Quell’amore che hai sempre sognato. Intenso, puro, fantastico. Quello fatto di due cuori che battono all’unisono e che non si scontrano mai. Quello fatto di baci che trasmettono intense scariche elettriche ai corpi in modo da non poterne più fare a meno. Quello fatto di profumi indimenticabili impressi sulla pelle di entrambi che si mescolano ogni volta che vengono a contatto.
“Aveva ragione… era perfetto…”
Anche se a volte gioia e malinconia si fondevano in questo gioco di vita, quella era la vita che avevo scelto e che avrei proseguito in un’unica direzione senza voltarmi al passato. Perché altrimenti rischierei di ricadere ancora nel vuoto. L’abisso della paura dell’amore. Un timore che per sfortuna è ancora dentro me e sarà difficile estirparlo. E ce la sto mettendo tutta per potermi fidare ancora di quell’immensa forza misteriosa. Odio dirlo… ma ho paura dell’amore. Perché è l’unica cosa che può uccidermi.

– Dopotutto quello che ho passato… dopo tutte le storie “storte” che si sono susseguite… il mio cuore ha perso qualche pezzo per la strada… E ne è rimasto solo un piccolo pezzettino… E quel pezzettino l’hai preso tu… Mi raccomando… trattalo bene… perché  l’unica cosa che mi tiene ancora in vita è la consapevolezza che esista una “bambolina” che ha in custodia il mio amore… Certo… ci sono stati momenti in cui tutto è stato in “bilico”… ma ora tutto è cambiato… Ognuno ha capito i propri errori… e credo che mai più si verificheranno… almeno io ce la metterò tutta perché ciò non accada… e sono sicuro che anche tu mi darai una mano… restando accanto a me… vivendo attimi felici con me… per tutto il tempo che questa vita potrà concederci… ti amo bambolina… grazie d’esistere. –

Forse ritornare ad amare non è poi così tanto difficile. Basta solo crederci. Crederci e sperare di nuovo che il passato non si ripresenti alla tua porta o sul tuo telefonino con un semplice messaggio d’addio. Il passato fa male… Ma come dico sempre io:

“…lasciamoci il passato alle spalle… non pensiamo al futuro… e viviamo il presente…”

…Tienilo stretto il mio pezzettino di cuore…
…altrimenti non potrei vivere…
…So che tu lo custodirai bene…
…Perché mi fido di te…

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