Frammenti di vita #41

Libro Hesse

[…]

Scorrevo la libreria di Annalisa con la solita curiosità incalzante. Ogni volta che passavo a trovarla era una scoperta… qualcosa di nuovo…
Piccoli oggetti… robe antiche… etniche… particolari.
A volte provenienti da posti impensabili del mondo… a volte invece erano semplici ricordi di locali in giro per Milano.

– Anna… –
– Cosa c’è? Sto lavando i piatti… –

Annalisa era in cucina. Il rumore scrosciante dell’acqua si sentiva fino in salotto. Presi un libro che sbucava dal ripiano.
“Mmm… Hesse…”
Lo aprii e subito mi colpii la prima pagina. C’era una scritta a matita nell’angolo in alto…
“Firenze… ottobre 2009”
Sorrisi. Era una cosa che facevo anche io. Scrivere il posto e la data di quando incomincio un libro.
“Coincidenza?” Forse si… e le esperienze passate mi hanno insegnato che devo sempre coglierle al volo e non lasciarle passare inosservate.

– Anna! – urlai.
– Che c’è! – mi rispose continuando a lavare i piatti
– Mi presti questo libro? –
– Quale? –
– Quello di Hesse… –
– No! E’ un regalo.. ci tengo troppo! Rimettilo a posto! –
Guardai il libro con aria di sfida…

“Tranquillo… ti salvo io da questa matta!”
Lo presi e lo nascosi in una tasca del giubbotto.

– Anna… scusami devo scappare! Ci sentiamo ok? Devo proprio andare… ciaoooo –

[…]

L’amicizia è come un while (Andrea parte #6)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Settima lezione

Ero in anticipo. Mi ero sistemato al mio posto. Il solito. Ormai quel pc del laboratorio era diventato personale. Avevo sistemato le icone e cambiato lo sfondo. Mi piace personalizzare le cose che uso.
Quel giorno ero da solo. In aula c’erano poche persone oltre a me. Nessuna traccia di Anjalie e di Andrea. Mi avrebbe fatto piacere rivederlo. Ci speravo.
La lezione cominciò. Il professore aveva disposto sulla cattedra un bicchiere e due bottiglie. Voleva spiegarci un costrutto del linguaggio C. Uno dei più usati: il while.
“Dato che il calcolatore non è in grado di svolgere un problema in blocco… Va bene… Questo deve essere spezzettato in piccole parti facilmente eseguibili… va bene… “
Era una strana spiegazione. Oltre ai continui intervalli con “va bene” abbastanza superflui, cercai di capire come si potesse spezzettare un problema come, chessò, trovare il maggiore tra un gruppo di numeri. In tutta la mia vita mi sono limitato al mio utilissimo dito indice, che, di fronte a un gruppo di numeri non aveva nessun timore a indicarne il maggiore. Per il computer però, non era così semplice. Forse perché mancava di dito indice (concedetemi quest’umorismo spiccio… ) o forse perché:
“Ricordate che il calcolatore esegue piccole operazioni UNA alla volta… va bene…”
Il professore prese in mano la bottiglietta d’acqua e il bicchiere.
“Mettiamo che vogliamo riempire questa bottiglia d’acqua… va bene… e abbiamo un solo bicchiere a disposizione… va bene… prepareremo un ciclo di tot volte, in cui, ogni volta riempiamo il bicchiere e lo verseremo nella bottiglia…va bene…”
Tutto chiaro. Anche se acqua e computer non sono mai andati d’accordo per quel che mi riguarda. Improvvisamente però, notai dalla finestrella della porta d’ingresso un ragazzo che gesticolava animatamente. Era Andrea. Sorrisi scuotendo la testa. Non poteva entrare perché la porta si apriva solo da dentro e il professore era intransigente su certe cose.
Andrea muoveva la mano come per dirmi “Dai, vienimi ad aprire!”. Sospirai. Era una cosa che non si poteva fare e non volevo mettermi in cattiva luce davanti al prof, visto che ero sempre al primo banco.
Però… non potevo lasciarlo lì fuori.
Mi alzai lentamente. Sfruttai un attimo di distrazione del prof. Girai velocemente la maniglia e lo lasciai entrare. – Grazie Ciro! Mi hai salvato… –
– Shhhh il prof sta spiegando… –
– Ah sì… ok… –
Ci sedemmo in modo furtivo.
– Cosa sta facendo? – mi chiese Andrea.
– Spiega il while… –
– Ah certo! Com’è? Difficile? –
– Eh non lo so! Se non mi fai seguire! – dissi sorridendo.
– Certo scusa, scusa… –
Passarono 30 secondi di orologio.
– Ciro scusami ma qui com’è che si apriva? –
– Clicca lì e fai apri nuovo progetto… –
– Perché il prof ha quella bottiglia in mano? –
– Lunga storia… –
– E questo while che c’entra? –
– Andre… –
– Sì –
– TACI! –
– Eh Porca troia! Manco fossimo in chiesa! –

“Silenzio! Lì al primo banco o vi caccio!”

 

continua… domenica 8 marzo

L’amicizia è come un while (Andrea parte #5)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione
Fine lezione

“Bene! Ci vediamo la settimana prossima. Buon Weekend.“

Il professore ci congedò con un rapido saluto. Tutti ci alzammo come quando in chiesa la messa giunge al termine. Salutai Anjalie che, con il suo solito fare, scappava via senza tanti preamboli. Mi girai verso il ragazzo milanese. Stava mettendo a posto le sue poche cose. Gli porsi una mano.
– Comunque io sono Ciro. Piacere. – mi strinse la mano con vigore.
– Andrea. Piacere mio. Sei stato molto gentile ad aiutarmi. Io sono negato… –
E iniziò a parlare… e parlare… e parlare ancora.
Una volta che aveva cominciato, quel ragazzo, non la smetteva più. Iniziò, di punto in bianco, a raccontarmi di se.
– …Ogni mattina è dura essere qui in orario. Abito fuori Milano. A Cesano Maderno. Conosci? –
– Beh… in teoria… –
– Te da dove vieni? Dal sud Italia immagino. Sai, anche io ho origini del sud. Pugliesi in particolare … I miei dopo una vita qui sono tornati giù… Ed io sono rimasto qui… ma un giorno…  –
E continuava… continuava…
Nemmeno mi ero accorto che stavamo già percorrendo il lungo corridoio. Andrea era un sottofondo continuo che ti distraeva dai pensieri. Ogni tanto sorridevo quando bloccava le mie risposte a metà per parlare di se… della sua vita… delle sue esperienze.
– Vuoi un caffè? Te lo offro io. – mi disse all’improvviso. Tentennai col capo. Lui però aveva già inserito una monetina e aspettava, scorrendo col dito suoi tasti, impaziente. Sapevo che se non gli avessi detto niente, lui avrebbe scelto al mio posto. Quindi gli dissi subito: – Lungo! – ma la mia mente era rimasta ancora alla domanda di prima. Era incontenibile. Aveva una strana vitalità coinvolgente.
– Come lo vedi questo esame Ciro? –
– Mah… difficile… ma non impossibile. Basta seguire. Entrare nel meccanismo… –
– Io non lo so… sono anni che ci provo… con l’informatica sono proprio negato… –
Come fare a non aiutare quel ragazzo? Era buono, gentile, instancabile. Aveva una marea di qualità.
Salimmo le scale per uscire all’esterno dell’edificio.
– Tu dove devi andare Ciro? Ti do un passaggio? –
– Abito a Lambrate… prendo il treno da Greco Pirelli… –
– Mannaggia! Devo andare da tutt’altra parte. Però… un passaggio alla stazione te lo posso dare… così risparmi il tragitto a piedi… –
– Beh… se proprio insisti… –
– Ma certo. Vieni… Quella è la mia macchina. –
Salii su quella tre porte un po’ sgangherata. Subito Andrea si scusò per il disordine e raccontò che “questo” era qui per “quello” e “quello” era qui per “questo”. Partì subito senza far riscaldare la macchina o allacciarsi le cinture o almeno controllare gli specchietti. Ero un po’ in ansia a dir la verità, soprattutto quando il segnale delle cinture iniziò a emettere un suono fastidioso.
Curvava stretto, strombazzava ai passanti, evitava le buche in modo brusco. Di solito sono io quello che guida così e trovarsi dal lato del passeggero era una novità. La mia preoccupazione saliva sempre di più quando al suo stile di guida intervallava messaggi al telefono e racconti della sua vita.

– Andrea! Andrea! Aspetta! Fermati qui! Sono arrivato – gli dissi in tempo. La stazione non era distante.
– Di già? Allora ci salutiamo Ciro! Ci becchiamo alla prossima lezione. –
– Sicuramente… –

 

continua… giovedì 5 marzo ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #4)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione
Seconda Ora

“Il ciclo if – else consente al programma di compiere una scelta. Valuta prima la condizione e in caso di risposta affermativa, esso segue una strada, altrimenti un’altra.” 

La spiegazione sembrava impeccabile almeno sulla carta. La teoria era semplice. Era la messa in pratica alquanto difficoltosa.
Scrivevo.
Scrivevo con la nuova penna prestatami dal ragazzo milanese. Anche lui era intento a scrivere sul suo blocco di appunti spiegazzato. Lo osservai un istante. Sembrava attento. Osservava il professore con aria curiosa poi chinò il capo e iniziò a scrivere. Guardai i suoi appunti e quella visione mi rattristì…
Quei fogli spiegazzati erano piene di scritte senza un filo logico. Cancellature ovunque. Disordine.. L’unico colore predominante era il nero. Mi ricordava qualcosa… o qualcuno…
Quel ragazzo non avrebbe passato sicuramente l’esame se avesse continuato così. Oltretutto non aveva la minima idea di come si usasse un software di compilazione. Ricordava me qualche anno fa, quando, poi alla fine decisi di abbandonare. Non volevo che succedesse anche a quel ragazzo affabile e gentile.
Potevo aiutarlo… o almeno indirizzarlo sulla giusta strada con qualche consiglio. Che mi costava?
Ah… sospriro.
Devo smetterla di aiutare tutto e tutti… Ricordi?! 
“Quanto avrei voluto qualcuno che mi desse una mano…” quelle parole riecheggiavano ancora nella mia mente, nonostante gli anni passati.

“Allora ragazzi. Aprite il programma di compilazione DevC++. Costruiamo il costrutto IF – ELSE. “

Il ragazzo milanese si mise a smanettare al pc. Ovviamente non sapeva da dove cominciare e tentennava nei passaggi. Guardai la penna che mi aveva prestato.

“Ripeto… if-else permette una scelta… sarete voi, poi, a costruire il cammino del programma…”

Una scelta…
proprio quella che mi serviva. Aprii il programma e iniziai subito a digitare.
– Maledetto! Come cavolo si fa! –
Sentivo il ragazzo imprecare e cliccare a caso ovunque. Non ce la facevo a guardare quello scempio. Decisi d’intervenire.
– Clicca sul primo tasto e apri un nuovo progetto. – dissi continuando a fissare il mio pc.
– Cosa? – rispose.
Mi girai e ripetei: – Ho detto, clicca sul primo tasto… –
– Qui? –
Sbuffai, il ragazzo non era proprio sintonizzato. – Aspetta, guarda qui… –
Gli presi il mouse dalle mani e gli impostai il programma. – Ecco… –
– Wow! Grazie! Ci sai davvero fare con i pc. – disse.
– Non è difficile… serve solo un po’ d’attenzione. – risposi
– No… ma io sono proprio negato. –
– Beh… allora partiamo male per questo esame… –
– Eh già… e tipo la quarta volta che lo seguo… – disse rammaricato.
Non risposi. Mi concentrai sulla spiegazione del professore. Quella frase però mi colpì. Sapevo bene cosa si provasse ad abbandonare un corso. Ti si riempie il cuore con l’amaro del fallimento e non sai cosa fare… se non ripartire… ancora… e ancora…
No! Quel ragazzo ce la doveva fare! Doveva uscirne da quella prigione invisibile. Come me…

“Bene… iniziamo a costruire la strada dell’IF… che viene intrapresa se la condizione si avvera…”

Il professore parlava. Guardai di nuovo la penna.
– Porca Troia! – disse il ragazzo milanese.
Sorrisi. Dovevo aiutarlo.
Male che vada avrei conosciuto qualcuno di simpatico.

– Aspetta! Non martellare quella povera tastiera…Ti faccio vedere… –

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continua… domenica 1 marzo ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #3)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione.

Ero di fronte alla macchinetta del caffè. Aspettavo che completasse il lavoro. Tra me e l’aula d’informatica ci separava solo un lungo corridoio. Biip emise il grosso aggeggio. Presi il bicchiere e, al contrario delle altre volte, inserii un’altra monetina per un altro caffè. Quella mattinata s’era ripetuta uguale alle altre. Puntuale, terzo posto, di fianco Anjalie…
Dopo i soliti saluti avevo preso l’iniziativa con un “Vuoi un caffè? Vado a prendertelo io!”. Lei, un po’ titubante, scosse il capo in segno affermativo. Non seppi mai se mi disse di sì perché voleva il caffè o perché avrebbe potuto violare qualche strana consuetudine religiosa rispondendo in modo scortese a una richiesta gentile.
Il caffè era a metà del suo corso e mentre aspettavo, soffiavo sul mio per farlo raffreddare. Improvvisamente vidi scendere dalle scale il ragazzo milanese incrociato nell’ultima lezione. La sua andatura sicura non passava di certo in osservata. Mi guardò e sorrise, dirigendosi poi verso il lungo corridoio.
Biiip… La macchinetta aveva finito. Presi in mano i due caffè e andai verso l’aula.  Appena sulla porta vidi il volto sorridente di Anjalie. Subito le porsi il caffè, infilando il braccio tra i monitor dei pc sui banchi. Girai attorno al banco e fu allora che notai il ragazzo milanese, messosi proprio accanto al mio posto. Forse voleva mettersi al mio pc e Anjalie gli avrà detto che quel posto era occupato. E’ strano come il pensiero di quel piccolo e minuzioso gesto mi avesse fatto sorridere. Nessuno mai mi aveva tenuto il posto a lezione; e la volta che succede me la perdo anche! 
Chiesi permesso e il ragazzo mi fece passare con la solita gentilezza nelle parole. Mi sedetti e con calma e cura studiata, sistemai l’altezza della sedia a rotelle. Il pc, ovviamente, faticava a caricarsi. Il professore chiuse la porta, trangugiai il mio caffè e la lezione cominciò.

Il mio programma era sempre impeccabile. A volte, quanto il vecchio pc dell’università tentennava, cercavo il problema del rallentamento e lo sistemavo. Di fianco a me Anjalie scriveva i suoi appunti con attenzione. Dall’altra parte, invece, scoppiavano piccole battaglie tra uomo e macchina in cui quest’ultima aveva sempre la meglio. Il ragazzo milanese non ci sapeva proprio fare. Era un caso perso. Aiutarlo sarebbe stato un buco nell’acqua, come ne avevo fatti tanti in passato. Dovevo concentrarmi sul mio esame e non più su quello degli altri.
Però era divertente osservarlo. Intervallava gli sbuffi ai porca troia con una cadenza quasi regolare. A un certo punto si stancò di combattere con il pc e prese un foglio bianco tutto spiegazzato. Inoltre cacciò un paio di penne nere dalla marca sconosciuta e le appoggiò sul banco.
Cominciò a scrivere. Passò circa un’ora molto tranquilla. Avevo lasciato perdere il teatrino di fianco a me per calare la mente sui miei appunti. Negli anni avevo sviluppato e maturato un buon sistema d’organizzazione dei concetti. Usavo penne di vario colore per dividere le nozioni chiave dalle semplici descrizioni. I colori andavano dal rosso al nero passando per il viola e il verde. Tutti erano fondamentali alla mia organizzazione di appunti. Nessuno escluso. Ecco perché, quando la mia penna nera iniziò a tentennare, mi salì la mia solita ansia da cose stupide. Non potevo continuare a scrivere gli appunti in rosso o verde. Il nero era fondamentale. Quindi, quando la penna si esaurì del tutto. Guardai subito verso Anjalie, per chiederle una mano. Ma era troppo intenta a scrivere velocemente per disturbarla. Così mi girai verso il ragazzo milanese, ricordando la marea di penne tutte uguali che aveva disseminato sul banco. – Mi presti una di quelle? – dissi indicandone una.

– Ma certo! Anche due! Tanto le frego a lavoro!  Prendi pure! –

Sorrisi… presi la penna e continuai la stesura dei miei ordinatissimi appunti.

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continua… giovedì 26 ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #2)

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Tre anni dopo…

Secondo semestre anno 2013/2014
Quinta lezione.

Ero puntuale come un orologio svizzero a sedermi nel terzo posto della prima fila, poco distante dalla cattedra. Il professore era arrivato da qualche minuto e s’era seduto al suo posto di fronte a noi. Aveva un’aria contrariata stamane. Forse qualcosa lo disturbava; forse qualcosa che stava controllando al suo Mac nuovo fiammante; mentre i nostri pc, come al solito, faticavano ad accendersi. Di fianco a me c’era Anjalie, una timida ragazza indiana che un paio di volte aveva accennato a chiedermi qualcosa. Si sedeva tutte le mattine nello stesso posto; e, dato che anch’io, sono un tipo che, tutte le mattine si siede sempre nello stesso posto, abbiamo finito per conoscerci. Certo è che la definizione di conoscenza richiederebbe qualcosa in più di un semplice scambio di nomi; ma per il mio standard di socialità era già molto… e meglio di niente.

– Tutto bene Anjalie? – le chiesi.
– Si tutto bene… – mi rispose in uno stentato italiano.

A questo si limitavano le nostre conversazioni. Poi, si rimaneva in silenzio per le successive 2 ore; e ci si salutava alla fine; prendendo strade diverse.
Il professore guardò l’orologio, alzò gli occhi e avanzò verso la porta d’entrata ancora aperta. Se c’era una cosa che non tollerava, erano gli studenti che arrivavano in ritardo; e, durante la sua lezione, non si poteva né entrare né uscire. Si apprestava a cominciare la lezione, quindi, con un gesto della mano, rimosse il blocco che teneva la porta aperta e la chiuse.
Improvvisamente alla finestrella sbucò il volto di uno studente che ovviamente voleva entrare, anche se il professore aveva appena chiuso la porta. Lo studente fece una capanna con le mani cercando d’impietosire il docente che lo osservava. Quest’ultimo sorrise e lo fece entrare.

– Grazie Prof! Oggi c’era un traffico! La tangenziale bloccata! Ho cercato di….. .
– Sì.. sì.. si! Vai a sederti! –

Il ragazzo moro con uno spiccato accento milanese si avvicinò ai banchi. Vide che di fianco a me c’era un posto libero e si sedette in tutta fretta. Iniziò a muovere il mouse e a digitare qualche tasto senza senso.
– Sembra funzionare sto catorcio! – disse sottovoce.
Feci un mezzo sorriso.
Il professore aveva da poco iniziato a sfoggiare tutto lo scibile intorno alla procedura d’iterazione nel linguaggio C. Lo ascoltavo attento. La lezione del giorno e quelle successive comportavano l’utilizzo di un software di compilazione che dovevamo usare mentre il prof. spiegava. Nella mia spiccata pignoleria, avevo aperto il programma, allargato la finestra per vedere meglio, inserito commenti utili vicino ai costrutti e ogni tanto salvavo per non perdere il lavoro. Accanto a me Anjalie, faceva più o meno lo stesso mentre, dall’altro lato invece, il ragazzo milanese davanti al pc, sembrava un orango che cerca di mettere un triangolo nella fessura quadrata. Batteva sulla tastiera con una forza inconsueta e sbuffava quando non riusciva a capire cosa fare. Ogni tanto parlottava e imprecava sottovoce. Una parte di me voleva aiutarlo, l’altra parte invece, lo odiava, perché intenta a seguire la lezione che stava quasi per terminare. Mi feci gli affar miei…
Il professore aveva appena finito. Salvai tutto sulla mia penna usb. Riposi le cose nello zaino, salutai Anjalie e chiesi al ragazzo milanese il permesso di passare dato ostruiva il passaggio tra i banchi e l’uscita. Si voltò frettoloso e mi disse:

– Certo! Scusami tu! –

 

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continua… domenica 22 ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #1)

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Antefatto 

Secondo semestre dell’anno 2009/2010.
Un bel po’ di tempo fa…

Ero seduto in un aula rettangolare, su una poltrona a rotelle cigolante. Davanti a me un computer abbastanza in la con gli anni che cercava di accendersi nel minor tempo possibile. Un po’ come un vecchietto che sale le scale e sente la gente alle spalle che cerca di superarlo.
Respiravo.  Mi guardavo intorno. L’aula era piena di studenti. Tutti pettinati a modo e pieni di dettagli inutili. Sembrava la fiera delle vanità piuttosto che un’aula scolastica.
Cliccai col mouse in un punto vuoto per capire se quell’oggetto avesse finito di compiere le sue fatiche mattutine. Sembrava tutto a posto.
Di fianco a me si sedette una ragazza. Tirò fuori in tutta fretta il suo quaderno ad anelli su cui già campeggiavano una marea di appunti. Tutti ordinati e divisi per temi, pieni di colori e segnalini. Più che appunti sembravano quadri. Sorrisi e abbassai la testa sul mio blocco di fogli legato insieme con una molletta nera da ufficio. Tra le tante cancellature e il disordine dei numeri, l’unico colore che spiccava era il nero. I fogli erano molto spiegazzati e non avevo nemmeno idea di che ordine avessero.
Ero sbadato… disordinato… demotivato.
Pensavo che quella materia fosse stata il mio pezzo forte, dopo le mille difficolta intraprese nei precedenti e pochi esami passati. Purtroppo non era così, e il motivo era appena entrato…
Il professore sulla cinquantina avanzava ondeggiando leggermente, data la sua cospicua mole corporea.
Rivolse un rapido sguardo alla classe. Il vociare si fece meno intenso.
Si sedette dietro la cattedra e ci introdusse alla lezione con un tenue “Buon-giorno”, lasciando con la voce, un po’ di spazio tra le parole. Ci chiese se tutti i pc fossero accesi e funzionanti. Come al solito qualcuno aveva qualche problema che comportava un bel po’ di tempo per essere risolto.

Iniziò la lezione. La ragazza di fianco a me iniziò a scrivere come uno scrivano sotto dettatura di un logorroico. Ascoltavo. Cercavo di replicare i movimenti del prof sul pc. Cercavo di imparare… di ricordare… Ma risultava estremamente difficile. Meccanicamente scrivevo pezzi di codice in C su un programma che, stranamente, conoscevo sin da quando ero bambino.
Sorrisi al ricordo.
Mi divertivo a far comparire messaggi sullo schermo del pc di mio padre. 
Ma non sempre le cose andavano a buon fine e incasinavo file e cartelle, causando parecchie urla in casa.
Ciclo while, ciclo for, ciclo if-else… non riuscivo a capire, nonostante il professore li spiegasse come se fossero la cosa più banale del mondo; e questo mi urtava.
Lasciai andare il pc e iniziai a scarabocchiare i miei fogli. Quanto avrei voluto qualcuno che mi desse una mano. Anche per un semplice sfogo dalle mille incomprensioni giornaliere.
Non conoscevo nessuno. La nascita dei rapporti sociali è sempre stata un mistero per me.
Sospirai. Alzai la testa e guardai il professore intento a spiegare.
Nella mia testa però, c’era il vuoto. Niente di niente. Il prof ci provava, ma le informazioni non volevano proprio entrare. Era tutto inutile. Tempo perso e buttato.
Mi alzai in silenzio… cercando di non disturbare quei compagni che non avevo mai conosciuto.
Avanzai verso la porta con in mano il blocco di appunti disordinati.
Lo buttai nel cestino… senza rimpianto.
Appena fuori, aspettai che la porta si chiudesse automaticamente dietro di me.
“Ci riproverò… 
chissà quando… 
ma non ora…”

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continua… giovedì ore 10:00

Pensieri radom #1

 

….Tra una botta che prendo
e una botta che dò
tra un amico che perdo
e un amico che avrò…
che se cado una volta
una volta cadrò
e da terra, da lì m’alzerò

C’è che ormai che ho imparato a sognare non smetterò….

Frammenti di vita #27

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Altro giorno
Altra corsa
Gli esami sono alle porte e ce la sto mettendo tutta…
Il destino ha voluto che sulla mia strada capitasse un certo Andrea un ragazzo pieno di energie e di voglia fare. Mi sta trattando come un fratello. L’altro giorno a mensa, vedendo il mio piatto gia’ vuoto, ha diviso la sua fetta di carne e me l’ha data.
“Devi mangiare di piu’!” mi ha ammonito.

E’ un piccolo gesto..
Ma per me vale un’amicizia…

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