La Coinquilina perfetta #8

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Non ci potevo credere, avevo studiato il finimondo! Praticamente tutto il libro, ogni singola frase, ogni singolo pezzo e… non ce l’avevo fatta. Non l’avevo passato!
Rimasi scioccato quando aprii il file contenente i voti. Avevo passato tutta la settimana con la curiosità di sapere se avessi preso un 25 piuttosto che un 27, non avevo nemmeno formulato altre ipotesi sul mio esito. E Invece, compariva ben chiara accanto al mio nome, la scritta insufficiente.

Restai con gli occhi sbarrati per circa un quarto d’ora a fissare il pc. Cercavo di capire cosa avessi sbagliato nel compito. Nulla… non mi veniva in mente nulla…
Avevo risposto alle domande, avevo scritto correttamente… Cosa era accaduto?
Iniziai a girare per la stanza senza meta.

Avanti e indietro, avanti e indietro… come un cane in gabbia. Poi mi sedetti sul letto con la testa tra le mani. Non mi ero nemmeno accorto di aver lasciato la porta della camera aperta.

Sara ci passò davanti per andare in bagno e mi vide.
La guardai con gli occhi rossi.

– Cosa c’è? Qualcuna non te l’ha data? – disse ironica, col suo solito cinismo.
– No Sa… è che… – balbettai.

Non rispondendo alla sua battuta con la solita ironia, Sara capì che si trattava di una cosa seria. Entrò nella mia stanza e si sedette accanto a me.
Mi guardò…

– Non ho passato un esame Sara… – dissi.
– Vabè… capita… – rispose, mostrando una strana compassione.
– Era facile! Anzi quasi banale! – dissi disperato.
– Dai… avrai interpretato male… succede! A volte i professori vogliono una cosa e tu ne scrivi un’altra. –
– Già… forse è andata così… –  risposi, cercando di calmarmi.
– Ok! Adesso tirati su… Cosa vuoi per cena? Cucino io! – disse la mia coinquilina.
– Eh?! Vuoi cucinare tu? – chiesi, quasi sorpreso.
– Si certo mister perfettino! So cucinare anche io! Ma niente robe strane! La scelta è tra pasta al sugo e pasta al pesto… anzi no… non c’è scelta… pasta al pesto! – disse seria.
– … ci metti anche la pancetta? – chiesi con fare pietoso.
– Si ok… – acconsentì.

Sorrisi.

– Dai, vado a preparare… tu alzati, lavati la faccia… tranquillizzati che non è morto nessuno… La prossima volta andrà meglio… vedrai… – disse andando in cucina.

La vidi sfilar via dalla mia camera con passo sicuro… cercando di capire come facesse a restare sempre così fredda e razionale. Sara non era di certo il massimo nel consolare le persone, ma apprezzavo molto il suo gesto. Non era da lei. Mi stavo quasi commuovendo.

Ripresi le forze. Guardai in direzione della cucina sentendo il rumore delle pentole. Sara stava iniziando a cucinare.

– Sara… – la chiamai.
– Dimmi… – mi urlò dalla cucina.
– Ce la metti la cipolla vero? –
– NO! –

Frammenti di vita #73

ciro studio letto

 

Riassunto delle ultime puntate….

La Coinquilina Perfetta #3

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La casa era un fermento di andirivieni dal bagno. Le ragazze si stavano preparando per la serata che di lì a poco stava per cominciare. Stranamente ero partecipe anche io di questo avvenimento. Mi avevano invitato ad un aperitivo per festeggiare la fine delle vacanze estive e il ritorno in terra milanese di tutti e tre. Carmen si stava truccando davanti allo specchio nell’ingresso; Sara era nel bagno a far la medesima cosa con lo specchio sul lavabo; ed io ero seduto in cucina, già pronto per uscire.

“Scrivigli Sara!” dissi.
“Noo!” rispose.
“Dai scrivigli… si aspetta quello…” incalzai.
“No! Ho detto di no e no!”

Il tema della serata però, non era l’uscita: una vecchia fiamma di Sara era tornata a Milano e lei, anche se non l’avrebbe ammesso mai apertamente, voleva incontrarlo e parlargli.
“Carmen tu cosa ne pensi? Dovrebbe scrivergli?”
“Ehm… sì… perché no… alla fine non ti costa niente…” rispose dalla camera da letto.

Come si nota la confidenza reciproca era aumentata. Con i coinquilini passati non mi ero mai intromesso in queste situazioni. Lasciavo che i problemi degli altri rimanessero di proprietà dei legittimi proprietari. A me non importava. Con quelle ragazze invece, stava mutando tutto… Io stavo cambiando. In particolare, Sara (Carmen un po’ meno…) si fermava spesso in cucina a parlare con me. Mi raccontava tutto. Ero diventato un suo confidente. Non c’avrei mai scommesso il primo giorno che l’ho vista. Pensavo perfino che non lo avesse proprio un cuore una persona così pragmatica e decisa. E invece s’era infatuata, qualche mese prima, di questo ragazzo milanese, e ho sempre cercato di darle qualche consiglio da buon amico.

Presi il telefono che aveva poggiato in cucina e lo portai in bagno da lei. Glielo misi davanti agli occhi e dissi perentorio: “Scrivigli… almeno ti metti l’anima in pace… e sai se ci tiene ancora a te…. O no!”
Sara smise di truccarsi. Sospirò guardando il telefono e disse rassegnata: “Ok… gli scrivo…”

Più tardi, tra una corona e una ceres eravamo seduti sull’asfalto di piazza San Lorenzo. Le famosissime colonne a fare da sfondo e intorno, un mare di gente, seduta a terra come noi.
Sara aveva uno sguardo triste, era giù di tono. Non aveva la solita parlantina logorroica che faceva da sottofondo alle nostre serate. Si vedeva che era pensierosa; e il pensiero lo conoscevamo bene anche Carmen ed Io li vicino: “Non ha ancora risposto?” chiese Carmen.
“No… ma non ci spero più… mi avrà ignorata…” disse Sara.
“Ma dai… quello starà in giro con gli amici… vedrai che appena prende in mano il telefono ti risponde…”

Poco dopo ci spostammo in direzione della metro. Arrivammo a S. Agostino e scendemmo le scale. Ci sedemmo. Ero assorto nelle solite pubblicità di vestiti appese ai muri della metro.
Improvvisamente mi accorsi che Sara, accanto a me, aveva in mano il cellulare e stava leggendo un lunghissimo messaggio. Capii subito che non era niente di buono. Poi le lacrime di Sara me ne diedero la conferma. Fu una botta al cuore anche per me. Rimasi a bocca aperta. Quasi shoccato. Vedere quegli occhi glaciali trasformarsi in fragili cristalli mi devastò.

“Sara… cosa….”
“Niente… non dovevo scrivergli… non dovevo!”
Mi parlava con le lacrime agli occhi. Non sapevo che fare… volevo aiutarla ma…

forse avevo già fatto troppi danni.

 

Continua…

Frammenti di vita #18

Frammenti di vita 18

La mia coinquilina sta cercando in tutti i modi di convincere l’altra coinquilina ad andare a budapest con lei.

Per far ciò ha attaccato, in giro per la casa, post-it minatori-motivazionali.

Storia di una casa (#35)

Storia di una casa 35 copia

 2007/2008

– 35 –

“Settembre”.

Ogni volta che pronuncio questo mese, vibrano dentro me tutte le “t” e le “r” che contiene. Come se il mio corpo si comportasse da cassa di risonanza per un mese che, trasporta mille pensieri. Settembre… era già iniziato da un pezzo ormai, e, ovviamente, l’estate era finita.
Ero appena arrivato nella mia casa milanese. La maniglia del trolley era ancora ben salda nella mia mano mentre chiudevo la porta blindata in finto legno.
Girovagavo nell’oscurità trafitta da schegge di luce che filtravano dalle persiane. La polvere volteggiava nell’aria come un essere padrone di casa, disturbata dalla mia presenza. Mi avvicinai alla mia camera e spalancai la porta. A colpo d’occhio, mi sembrò che la camera si fosse rimpicciolita. Ragionandoci, quella, era solo una vaga impressione. Conoscevo bene quella camera e le sue dimensioni, essendoci stato ben quasi un anno. Forse la mia percezione degli spazi era stata alterata dall’estate vissuta nella casa di campagna dei miei. Un posto dove persino il concetto di monolocale fatica ad arrivare e le persone si chiedono come fanno altre persone ad abitare in meno di 100 metri quadrati. Buffo ma reale.
Ed io, nei mesi estivi, m’ero abituato e accomodato sull’idea che stanza da studio e camera da letto erano situate su due piani diversi; e la cucina era cucina e non salotto e mille altre cose.
Per un giusto stile di vita, si dovrebbe teletrasportare la mia casa natale in quella bella cittadina di Milano. (Ah! Poterlo fare!)
Ma i sogni son sogni e la realtà era quella che avevo di fronte a me.
Guardai la mia valigia al centro della stanza.
“Bene! Cominciamo questo nuovo anno!” dissi, cercando d’incentivare me stesso.
Tirai con forza la corda della serranda. Finalmente il sole inondò la camera spazzando via quell’alone di tristezza che l’aveva accolta. Aprii le finestre della cucina e del bagno in gran velocità, ma nel passaggio tra le due stanze, mi fermai ad osservare la porta della seconda camera da letto della casa. Francesco era andato via a giugno e mi aveva lasciato solo, in questo freddo appartamento.
Con lo strano timore di chi si sente di dar fastidio, aprii la porta di quella camera. In un anno intero, ci sarò entrato sì o no un paio di volte. Francesco era un tipo introverso e riservato, peggio del sottoscritto. Aprii la finestra anche lì e notai che la camera aveva bisogno di una gran sistemata. Mi sedetti sul divano e osservai i due letti vuoti. “Chissà chi ci dormirà!” mi chiesi sospirando e iniziando a fantasticare sulla fisionomia dei miei futuri coinquilini. Li immaginai da prima con mille difetti poi con mille pregi, infine tentai un misto di tutto per ottenere una persona quanto meno reale. “Mah…” sbuffai, pensando al dover socializzare per forza con perfetti sconosciuti per intraprendere una buona convivenza. “Non sono bravo in queste cose!” Purtroppo non potevo rimandare per imparare le buone regole della socializzazione… perché il telefono stava già iniziando a squillare…

–  Di già? –

continua…

Storia di una casa (#3)

2006/2007

– 3 –

Quando una cosa ti mette in difficoltà, la eviti; ma quando è il tuo sogno a farlo, come fare a sfuggirgli? Non puoi, perché non vuoi. Milano era questo per me. Un sogno.
Un sogno che sembrava realizzato quando scesi dal treno e il mio piede toccò quel suolo agognato. Tutto sembrava perfetto e chiaro come una sfera di cristallo; ma i miei occhi, ancora abbagliati dal desiderio raggiunto, trascuravano centinaia di graffi e scheggiature.
“Non è sempre facile ottenere ciò che si vuole” pensai. “Ci vuole pazienza e sacrificio” conclusi ricalcando le parole di mio nonno; e cosa avrebbe detto, nel vedermi lì, ad un passo dalla meta, mentre faticavo a non mollare? Se fosse stato ancora vivo, gliel’avrei chiesto.
Milano sembrava mettermi in difficoltà. Ma più la guardavo e più l’amavo… e più l’amavo e più volevo restare lì. Immaginai di guardarla dall’alto. Da uno dei suoi palazzi più alti. Di perdermi con lo sguardo nell’orizzonte ad osservare i suoi dettagli più belli. Sorridere di quanta coraggiosa testardaggine ci sia nel voler costruire e arrivare al cielo prima degli altri; Milano è così, pullula di vita e di voglia di fare. Sognai di volare tra piazza Duomo e la Galleria, come farebbe un piccione; arrivare al Castello e guardare il parco, unico sollievo per gli occhi con metri e metri privi di barriere architettoniche; e poi fermarmi, bloccato dalla celebre nebbia che spesso circonda la città, limitando la mia fantasia.
Milano, così grande da perdersi anche nell’illusione.
“Ci sarà un posto anche per me?”
Smisi di immaginare ma continuavo ad osservare la città. Non dall’alto, ma dal basso. Sotto terra, davanti ad una grossa cartina appesa al muro.

La metro mi portò rapidamente alla prossima casa. Ogni volta speravo che fosse stata quella giusta, in modo da porre fine alle mie faticose ricerche.
Mi addentrai con forzata disinvoltura nel parcheggio condominiale di un palazzo. Il sole era quasi tramontato e contavo sulle luci dei lampioni per orientarmi. Il posto prometteva bene. L’edificio aveva un bell’aspetto. Aveva una facciata arancione alternata da balconcini bianchi su cui bazzicavano piccole piantine. Trovai un campanello e cercai il nome scritto sul mio biglietto. Non servì suonare, fu lui ad aprirmi. Un uomo stempiato, dai modi modesti ma intenzionalmente gentili. Mi fece segno di salire e mi precedette fino a casa sua, al primo piano.
Entrai… e gli occhi mi dissero all’istante quello che ancora non avevo pensato.
La casa era giusta per una persona, ma ce ne vivevano due, ed io ero l’altra. Uno stretto corridoio collegava tutte le stanze. Si soffocava a stare in quell’angusto spazio. Il signore, allargando una mano, mi mostrò la cucina. Blu. Non avevo mai visto una cucina blu e questo m’incuriosiva. Ma il disordine, i piatti sporchi e la polvere cancellarono tutto.
“Vieni, di qua c’è la tua camera…” mi disse, passando tra me e il muro. “E’ un po’ in disordine, devo portar via alcune cose…”
Mi affacciai nella stanza. Non entrai perché era fisicamente difficoltoso. Armadio e letto occupavano la maggior parte dello spazio. Una piccola finestra cercava di dare un po’ d’aria ai muri spenti. Per terra erano disseminate innumerevoli cianfrusaglie, al limite di ogni soglia di disordine tollerabile.
Torturai gli occhi con quella visione pochi minuti, poi mi girai verso l’omino stempiato e mi chiesi se quel disastro fosse opera sua o…
“…e in fondo c’è la camera del tuo coinquilino” disse indicando una porta aperta alla fine del corridoio.
La guardai da lontano. Non mi avvicinai. Non volli sapere chi vivesse lì. L’unica cosa che volevo era andarmene da quel luogo e non chiedermi come facesse qualcuno a chiamarla casa.
L’omino sembrò capire tutto dal mio sguardo e non si dilungò nei dettagli. Mi disse l’essenziale e mi accompagnò alla porta. Una volta fuori, fui per un attimo sollevato e la mente diede conferma alla prima impressione degli occhi: “Un altro buco nell’acqua”.
Presi il foglietto e lo guardai. Era pieno di nomi cancellati, eccetto uno. Cancellai anche quello e osservai lo spazio bianco, sperando che qualche nome comparisse magicamente tra le righe.
Intanto… il telefono squillò.

Storia di una casa (#2)

2006/2007

– 2 –

Scolpite nella mente uno di quei mobili antichi. Una vecchia cassettiera in legno per esempio, robusta, solida e pesante. Uno di quei mobili scricchiolanti, talmente rumorosi da sembrar vivi, come un anziano in oltre età. Immaginate sulla superfice rugosa, scheggiata e puntellata da tarli, una miriade di oggetti, apparentemente inutili, accumulati negli anni. Statuine, vecchi souvenir, regali, bomboniere… qualche bambola di porcellana, un orsacchiotto un tempo bianco e una lampada ormai spenta…
Infine, spargete nella vostra mente, su questo mobile che avete appena immaginato, un sottile ma intenso strato di polvere grigia. Ed ecco la perfetta similitudine che avevo nei confronti di quella città a prima vista.
Con essa anche parte del mio stato d’animo assumeva gli stessi contorni. Ai miei occhi Milano sembrava una città morta, chiusa in se. Un po’ diversa da come l’avevo immaginata.
Per fortuna gli anni contribuirono a farmi cambiare idea. Ma la strada per arrivarci fu dura e tortuosa.
Il mio primo obiettivo era quello di trovare una casa. Un posto dove stare tra quell’immensità di persone. Ambientarmi e piano piano far credere alla mia anima che lì mi sarei trovato bene. Ardua impresa per uno come me… che ha un posto dentro, dove luoghi e persone s’incastrano e ci restano per sempre.

Passo dopo passo arrivai davanti una bianca palazzina. Controllai il foglietto che avevo in mano.
“E’ lei…” pensai e bussai al campanello. Sentii aprirsi il portoncino e un attimo d’esitazione mi colse e mi bloccò. Una signora, o meglio solo la sua testa e il suo braccio longilineo, si affacciò da un balcone del primo piano. “Vieni, vieni!” mi disse gesticolando con la mano.
Rassicurato da quelle parole, arrivai alla porta d’ingresso. Era aperta e la spinsi verso l’interno. La stessa donna mi ricevette con estrema gentilezza.
“Eccoci qua! Ce l’hai fatta!” affermò.
“Sì… ho fatto un po’ tardi… non sono ancora capace di muovermi adeguatamente in questa città… sono venuto a piedi…”
“Potevi prendere il 23… o il 33… mmm… forse anche la 54 passa qui vicino… tra l’altro stanno facendo dei lavori e hanno spostato tutte le fermate… prima passava da… poi ha cambiato giro e percorre via… quella dove c’è l’Esselunga… sì, quel grande supermercato marrone che fa tante offerte…”
Osservavo e annuivo mentre le labbra di quella donna si muovevano così rapide e veloci, producendo parole che stentavano ad avere senso e soprattutto non richieste.
“…se decidi di trasferirti qui, sarai comodo a far la spesa lì… io mi trovo benissimo… Però non andare il sabato mattina perché c’è sempre un casino della madonna… tanto che non riesce a camminare tra i reparti e alle casse file immense. Assurdo. Comunque… vuoi domandarmi qualcosa?”
“Ehm… si… vorrei vedere la casa…”
“Oh… già… che sbadata… certo… seguimi!”
La casa era adeguata. Della grandezza ideale in cui vivere. Anche se la mia esperienza passata, svoltasi in una villetta di campagna, tra corridoi e larghe stanze, si sentiva un po’ stretta tra quelle mura di città. Dovevo abituarmi a vivere in uno spazio più piccolo, a non avere un giardino e soprattutto…
“Ecco le stanze da letto… qui c’è la singola e lì la doppia…”
“Doppia?”
“Si… ci sono due letti… e la stanza è abbastanza spaziosa per dormirci in due. In realtà si potrebbe aggiungere un letto anche nella singola e farla diventare doppia… ma tutto dipende da quante persone affittano la casa…”
“Certo…” dissi pensieroso.
In tutto quel tempo, non avevo mai fatto il conto di dover dividere la casa con qualcuno. Il pensiero non mi aveva proprio sfiorato. Avevo in testa l’obiettivo di trovare una casa, non qualcuno con cui dividerla. Capii che prendere un’intera casa da solo era troppo costoso. Altre persone erano necessarie per dividere le spese. Ma avrei mai potuto trovare qualcuno che si adattasse al mio stile di vita mentre io cercavo di adattarmi al suo? Oltre alla ricerca della casa si presentò quest’altro problema sul mio campo. Cercare dei coinquilini. E non sapevo nemmeno da dove iniziare.

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