Frammenti di vita #45


Moto

Beh…

So che dovrei farti una marea di cose…
Dovrei cambiarti l’olio che sarà nero come la pece…
Le candele che saranno più vecchie di me..
Le cinghie che avrebbero voluto far un altro lavoro..
La batteria che invoca l’eutanasia ad ogni accensione..
Per non parlare delle forcelle e dell’ammortizzatore..
Ma tu ovviamente sei una stronza… e combatti come me…

Per questo sei finita nelle mie mani…
Sei l’unica cosa che mi da uno sprizzo di felicità ogni tanto… e mi trattiene ancora col culo su questa terra…

.
Perciò…
T’incazzi se ti dico che dobbiamo fare almeno 350 km?

(buona pasquetta…)

Seicentoventi (XII)

Ducati monster specchietto barracuda blog

 

 

“Giuro che li ammazzo!”
Pensavo a denti stretti mentre guardavo la faccia di Gianni e Francesca in lontananza.
Gli andai incontro pestando ogni passo con mirata precisione. Sembravano impauriti dalla mia imminente reazione. Mi conoscevano bene e sapevano che non l’avrei lasciata correre così facilmente.

–       Ciro noi… tu… – balbettò la mia ragazza.
–       Io vi ammazzo! – dissi puntando il dito contro Gianni.
–       Che vuoi da me!? Cosa ho fatto?! – rispose.
–       Correvi come un dannato! –
–       Pensavo che in moto mi saresti stato dietro! –
–       Pensavi?! Pensavi?!?! Vabbè! Ci rinuncio! Perdo solo tempo! – risposi.
–       Sì, dai che devi fare l’esame… – sdrammatizzò Francesca.
–       La questione è solo rimandata! Vi ammazzerò quando sarò riuscito a togliermi questo maledetto giubbotto troppo stretto! – dissi allontanandomi da loro.

Tornai alla moto. Vederla parcheggiata in lontananza, mi distraeva dalla piccola sfuriata. Sospirai pensando a tutto quello che avevo appena passato. Appoggiai le mani sul serbatoio carezzandolo. Era caldo. Caldo come il corpo vellutato di una bestiola sdraiata al suolo. Aveva corso parecchio in quella gelida mattinata di gennaio.
Salii in groppa. Tirai lo starter e girai la chiave.  La moto dopo qualche sbuffo partì.
Avanzai verso l’entrata del parcheggio della motorizzazione. Vidi altre moto e altri motociclisti gironzolare per quel lungo spazio d’asfalto recintato.
Osservai meglio. Per terra erano disegnati un mucchio di pallini rossi, bianchi e gialli.
“Sarà il percorso dell’esame?”
Avanzai di lato, lentamente, in prima. Osservai quei pallini con attenzione. Intanto un ragazzo in moto, incitato da un bipede tarchiato, si esercitava poco distante da me.
–       Gira! Forza! Accelera! – urlava l’uomo al ragazzo che, tremolante, eseguiva i suoi ordini.
Quell’uomo doveva appartenere a qualche scuola guida. E quel ragazzo aveva pagato chissà quanti soldi per farsi urlare dietro cosa fare.
La mia scuola guida invece è stata la strada e le urla sono stati i clacson degli altri.
“Se solo sapessero come ho fatto ad arrivare fin qui…”

Lì per terra c’è lo slalom… lì l’ostacolo da evitare e lì la curva.
“Non c’è l’otto?!”
Non lo trovavo. Volevo farlo dopo i tentativi e le mille bestemmie che ho tirato in prova, giorni prima.
Girai la moto e andai all’inizio del percorso.
Un tizio con una di quelle Harley giganti con valigie laterali stava ultimando l’esercizio.
“Se ce la fa lui a non far cadere i birilli, io ho moltissime speranze con la mia piccola Seicentoventi.”

Partii. Francesca e Gianni mi guardavano da lontano. Feci lo slalom senza troppi problemi. Evitai l’ostacolo in velocità. Girai intorno a un pallino per fare la curva e poi avanzai diritto per il passaggio stretto. Frenai e misi il piede a terra.
“Non male.”
Ma quelli erano solo pallini disegnati sull’asfalto.

Improvvisamente un cancello s’aprì e moto e macchine iniziarono a entrare nella motorizzazione.

“Bene… vediamo come ce la caviamo con i birilli!”

Continua… Parte (XIII)

Seicentoventi (X)

Ducati monster 620 stemma

Vento…
Freddo…
Gelo…
Un bel cocktail metereologico d’inizio Gennaio che mi stava rendendo la vita impossibile. Non era di certo il tempo giusto per star lì, in autostrada a correre come un matto, in moto.
Ero solo e stavo lentamente congelavo sotto il pesante giubbotto in pelle.
“Menomale che non nevica! Sarebbe stato il colmo!”

Rallentai. Poco prima avevo visto l’insegna di un autogrill. Solo lì avrei potuto chiedere aiuto.
“Speriamo che funzioni..”
Piano piano uscii dall’autostrada ed entrai nello spazio antistante alla zona di servizio. Parcheggiai proprio di fronte al bar, in uno dei posti riservati alle auto.
Spensi il motore.
Respirai. Correvo da una ventina di chilometri e il freddo aveva fatto il suo porco dovere nel congelarmi mani e piedi.
Tremavo. Non sapevo se era per l’adrenalina accumulata o per il freddo. Tolsi i guanti e osservai le mani. Avevano assunto un pallore violaceo. Non le avrei quasi riconosciute se non fossero state attaccate alle mie stesse braccia. Mi tolsi il casco e cercai di scendere. I miei piedi scricchiolarono, quasi a volersi rompere come cubetti di ghiaccio sotto il mio peso.
“Devo muovermi… non ho tempo per riprendermi”
Osservai una cabina telefonica poco distante.
“Per fortuna che i numeri di quei due li conosco a memoria…”
Istintivamente mi portai la mano alla tasca in cerca del portafoglio. Tastai e, ovviamente, non trovai nulla.
“Cazzo è vero..”
Il portafoglio e il mio cellulare erano nella macchina di Gianni. Mi salì un senso di disperazione e isolamento. Pensa Ciro… pensa…
Mi guardai intorno. In giro c’erano pochissime macchine. In fondo alla pompa di benzina vidi:
“Una volante!”
Pessima idea Ciro. Un motociclista senza patente ne documenti di alcun tipo che chiede informazioni a dei poliziotti? Altro che motorizzazione! Sarei finito nella questura più vicina.
“Cazzo…”

Intanto, dietro di me, si parcheggiò una macchina. Dall’interno scese un uomo sulla quarantina. Subito mi fiondai da lui.
–       Mi scusi… sono disperato… – (beh… non era proprio il giusto approccio)
–       Dimmi… – rispose il signore, titubante.
–       Non ho il cellulare con me… e dovrei fare una chiamata d’emergenza… –
–       Sì, ma… io… sono di fretta… – (classiche scuse di chi vuole evitarti.)
–       La prego… è la prima volta che mi trovo in questa situazione… –
–       Va bene… ecco… non metterci tanto… –
Afferrai il suo cellulare. Era un vecchio Nokia N95. Erano secoli che non vedevo quel modello di cellulare. Digitai il numero di Francesca.
Occupato “Dannazione”
Ricomposi rapidamente il numero mentre il tipo mi fissava intensamente.
Bussava
– Sì chi è? –
–        Quello che ti ucciderà appena ti vede! – dissi.
–       Ciro! Oh grazie al cielo! Sei vivo! Mi stavo seriamente preoccupando! –
–       Certo che sono vivo! Devo prima compiere due omicidi poi posso anche morire! –
Il signore mi stava fissando ancor più intensamente e con un accenno di nervosismo.
–       Ascoltami! Sono in un’area di servizio. –
–       Ti veniamo a prendere? –
–       No! Me la cavo da solo! Voi arrivate alla motorizzazione… ci vediamo lì! –
click
 
Ridiedi il cellulare al signore e lo ringraziai vivamente. Lui riprese il cellulare ed entrò frettolosamente nel bar.
Ora restava da conoscere la strada da percorrere.
Sorrisi… perché un ricordo mi pervase la mente.

“  Quand’ero piccolo facevamo sempre lunghi viaggi d’estate per andare al mare. E ci fermavamo sempre nei soliti autogrill. Essendo un bambino molto curioso, ogni volta che entravamo nei bar e vedendo la grossa cartina dell’Italia appesa all’ingresso, chiedevo a mio padre d’indicarmi dove fossimo. Perchè per me, quelle strade sembravano tutte uguali. Mio padre un po’ spazientito mi diceva:
–       Ma come! Non riesci a capirlo? Vedi… siamo qui! –  “

Ma lì, in un punto imprecisato della tangenziale ovest di Milano, ero da solo.
“Dove sei! Dove sei!”
Mi avvicinai al bar alla ricerca della cartina. Perlustrai i muri dell’ingresso e tra i vari manifesti trovai la cartina dell’Italia e poi quella di Milano.
“Ottimo! Ora mi serve un cavolo di puntino rosso con ben scritto VOI SIETE QUI”
Non c’era.
Andai a naso e trovai il punto in cui ero.
“Sono inculo ai Lupi!”
Percorsi col dito tutta la tangenziale ovest fino a molino dorino.
“Uscita 2… ricordati Ciro! Uscita 2”

Corsi alla moto. Il tempo non mi era clemente. Dovevo percorrere un sacco di strada. Girai la chiave. Attesi che le spie si spegnessero.
Brummm…
“Anche col gelo non perdi un colpo… sei fantastica…”

Continua… Parte (XI)

Seicentoventi (IX)

Ducati monster 620 manubrio

 

Il battito stava accelerando. Il cuore scalpitava all’idea di una pazzia che da tempo non provavo. Emozioni… qualcosa che smuovesse la mia noiosissima normalità milanese. La mia adolescenza l’avevo passata tra corse in macchina e ubriacate al limite. Ed ero arrivato lì. Nella caotica e tranquilla Milano che cercava di responsabilizzarmi con le sue regole imposte. Stringevo saldamente il manubrio della moto. Chi l’avesse mai detto che sarei riuscito a comprarla? Potevo spuntare uno dei miei sogni dalla lista.

Il motore scoppiettava nella fredda mattinata di Gennaio. Le marmitte inondavano di fumo e vapore l’asfalto della tangenziale. Il faro proiettava una debole luce, contrastata dal sole che sorgeva a est.
Respiravo profondamente all’interno del casco. La mano sinistra stringeva saldamente la frizione e la destra tremolava nell’attesa del momento giusto di dare una poderosa accelerata.
“Pronto? Ora!”
Lasciai lentamente la frizione e tentai di accelerare ma mi bloccai all’istante.
“Cazzo”
Una pattuglia della polizia stava passando proprio in quel momento. Riportai il manubrio in direzione di marcia per non far capire ciò volessi fare: inversione in tangenziale. Feci finta di controllare qualcosa alla moto per far credere che mi fossi fermato per un problema casuale.
La pattuglia passò normalmente. L’osservai di sottecchi attraverso la visiera del casco.
Appena fu lontana, riportai la moto in posizione.
Le macchine continuavano a scorrere ignare di ciò che stava per accadere.
“Devo farcela”
Strinsi il manubrio. Piantai saldamente i piedi sulle pedaline. Mi accucciai sul serbatoio.
“Ora!”
Accelerai e lasciai la piazzola. Andai controsenso. Contro i fari delle macchine. Le evitavo restando sulla destra. Iniziarono fin da subito a suonarmi contro, impauriti.
Altri mi lampeggiavano furiosamente mentre pregavo che non passasse un’altra volante.
Prima, Seconda… terza.
Cercavo di non correre troppo. Con il corpo inclinavo la moto per evitare le macchine. Abbassai il faro per non accecare nessuno.
C’ero quasi. Riuscivo a vedere lo svincolo.
“Un camion!”
PEEEEEEEEEEE
Girai a destra per evitarlo e mi appiattii il più possibile contro il guard rail.
“puff”
Avanzai. Lentamente. La protezione metallica era così vicina che potevo scrutarne i dettagli. Mi conteneva e distraeva allo stesso tempo. Cercavo di non guardare le macchine impazzite che mi suonavano contro.
“Ci sono quasi… Eccolo!”
Dopo pochi metri svoltai nello svincolo e fui salvo. Finalmente sulla corretta via. Accelerai di colpo. Ora volevo la velocità. Volevo scomparire il più presto possibile dal quel luogo.
“Grazie Dio… te ne devo un’altra… tu segna!”

Ero finalmente sulla tangenziale ovest. Cercai di ricordare la via. Ma tutto era vago. L’adrenalina mi aveva annebbiato i ricordi. Avanzavo per inierzia.
Dove cavolo erano finiti Gianni e Francesca? Dove cavolo stavo andando?”
 
8.20
Il mio esame si avvicinava e non sapevo ancora come uscire da quell’incubo.
Sulla destra vidi un’insegna luminosa.
“Forse mi è venuta un’idea…”

Continua… Parte (X)

Seicentoventi (VIII)

Ducati monster 620 culo

 

Panico!
Peeeeeeee
Peeeeeeeeeeee
Il camionista si stava innervosendo ma non capiva che, così facendo, aumentava solo la mia tensione. Ero preso dal panico per la paura che un camion da 5 tonnellate potesse ridurmi a un tappeto di pelle e ferraglia. Insistetti col piede sul cambio per scalare la marcia e recuperare la potenza necessaria a cacciarmi dai guai. Tirai la frizione e diedi una botta col piede sul cambio. Lasciai la frizione e accelerai. La moto però fece un inutile rombo che non mi spostò in avanti. Il motore era in folle.
“Cazzo non è entrata!”
Il cambio era bloccato.
Peeeeeeeeeee
Frizione, cambio…
Frizione, cambio…
“Entra porcaputtana!”
Il mio piede stava martoriando quel povero e delicato pedalino del cambio.
La moto rallentava sempre di più. Dovevo connettere il motore all’acceleratore.
Intanto il camion stava avanzando velocemente. Lo sentivo dietro le mie spalle. Sentivo lo stridere dei suoi freni e il possente motore che rallentava. Era la fine… Ero perfettamente al centro di un’autostrada con un camion alle spalle e le macchine che mi sfrecciavano ai lati.
“Dio, lo so che ho fatto una cazzata a comprarmi una moto… ma perché farmi morire proprio così? Fammi prendere prima la patente!”

Poi qualcosa accadde…
Frizione, cambio e la moto scattò in avanti. Il motore trasmise potenza alla catena e poi alla ruota posteriore. Accelerai di colpo.
“Via!”
Ripresi velocità e mi spostai subito sulla corsia più a destra. Il camion mi superò subito. Era molto vicino. Il camionista continuò a strombazzare per alcune centinaia di metri. Poi non lo vidi più.

Il peggio era passato. Feci un paio di respiri profondi e piano piano rallentai. Adocchiai sulla destra una piazzola d’emergenza.
Mi fermai…
“Cazzo! E ora che faccio!”
Avevo perso la mia macchina guida con a bordo Gianni e Francesca.
E… “i documenti e il mio fottutissimo cellulare!”
Non avevo niente. Eravamo solo io e la moto.
Guardai l’orologio.
8:10
L’esame era alle nove in punto.
Mi venne una risata isterica…
“Appena prendo quei due! Li uccido con le mie mani!”
Intanto le macchine continuavano a sfrecciare sulla tangenziale est di Milano. Guardavo la loro direzione. Non avevo la più pallida idea di dove cavolo andassero.
“Mi sono perso…”
Avevo progettato tutto.
“E, come al solito, tutto è andato a puttane.”
Pensa Ciro… pensa…”
Ci sarà una soluzione per arrivare dall’altra parte di Milano in tempo. Pensa
“Beh… L’ultima cosa che so è che quei due cretini hanno preso l’ultimo svicolo poco prima… Quello che io ho saltato… se riuscissi a prenderlo potrei arrivare sulla tangenziale ovest e lì… conosco la strada…”
 
“Se riuscissi a prenderlo…”

Voltai lo sguardo indietro, verso lo svincolo. Non lo vedevo. Era distante. Ma non di molto. L’unico problema era la massa informe di macchine che si dirigeva nel senso opposto.
Era una maledetta autostrada quella, ed io dovevo prendere quel maledetto svincolo, a tutti i costi.
Così…
Girai il manubrio e voltai il mio faro contro le macchine che transitavano ignare. In attesa del momento giusto.

“Beh… Se non sono morto prima…”

Continua… Parte (IX)

Seicentoventi (VI)

Ducati monster 620 ruota-3

Riuscii a cumulare sì e no un paio d’ore di sonno.
L’ansia per l’esame della patente era troppa. Non potevo fallire. Era la conclusione del mio piano. Avevo progettato tutto nei minimi dettagli da 4 mesi a questa parte.
L’acquisto della moto…
La corsa per avere i soldi…
I giri interminabili per strappare un’assicurazione decente…
Le lunghe file alla motorizzazione per le decine di carte da sbrigare…
e, sudore e freddo per le ore spese a esercitarmi da solo…
Tutto questo all’oscuro dei miei genitori. Certo, potrebbe essere normale alla mia età. Ma i miei genitori sono della categoria degli iperprotettivi con l’aggravante dell’ossessività. Non potevo dirgli che avevo smesso da tempo di pagare l’abbonamento dei tram per gironzolare a bordo di una moto da 60 cavalli. Sarebbe stata una follia…

Ricordo di quella volta a 18 anni… ne combinai una delle mie e mio padre, furioso, durante la notte mi smontò la ruota davanti della mia piccola vespa. Cioè… lui s’era alzato presto per smontarmi la vespa! Poi era andato a lavoro.
Quella volta vinse lui…
Che avrebbe potuto fare ora?
Mi sa che la sua ira, qui non ha giurisdizione…

Mi girai nel letto. Timidamente, l’alba s’intrufolava nella stanza. Gianni, il mio migliore amico, dormiva su una brandina accanto a me. Quella mattina, aveva il compito di seguirmi con la macchina. Purtroppo, l’esame della patente A, da privatista, comportava la presenza di una macchina che seguisse il motociclista per l’esame pratico in strada. Le scuole guide a Milano avevano prezzi inaccessibili ed io ero quasi al verde. L’unico tentativo era quello e, dopo aver smosso mari e monti per trovare qualcuno che avesse una macchina per l’8 gennaio, mi parò il culo Gianni.
Lo guardai, pensieroso:

“Grazie stronzo… vale molto per me quello che stai facendo… forse potrei anche perdonarti quella cazzata che hai fatto quest’estate. Ricordi? Maledetto…
Ma ora sei qui… a dimostrare che gli amici ci sono, quando ne hai bisogno…
Grazie…”

Gianni continuava a dormire sereno. Guardai l’orologio e capii che era giunto il momento di svegliare tutti. Nell’altra stanza, insieme alle mie coinquiline c’era la mia ragazza, Francesca.
Anche lei, quel giorno, mi avrebbe accompagnato all’esame.
e forse, era più in ansia di me.

–       Gianni! –
–       ohhh…. –
–       Svegliati… è ora… –

Continua… Parte VII

Seicentoventi (V)

Ducati monster 620 notte-2

 

Ormai era tardi.
Il faro della moto illuminava a stento il percorso davanti a me.
“Provaci… provaci ancora…”
Ma, l’unica cosa che provavo era rabbia e irritazione per la mia incapacità.
Impugnavo saldamente il manubrio. Il motore scoppiettava sbuffando fumo e vapore in un freddo gennaio. Sospiravo. Ero indeciso se lasciar perdere o continuare. Guardai a destra.
Da lontano, Francesca mi osservava con i suoi grandi occhi penetranti. Mi conosceva a pennello. Conosceva la mia testardaggine in entrambi i sensi e solo lei sapeva come indirizzarla nel senso giusto.
–  Riprovaci! – urlò.
–  Non ci riesco! Non gira! Sembra una barca! E’ impossibile! –
–  Ce la puoi fare! Forza. –

Sbuffai mentre guardavo, dipinto sull’asfalto, il percorso dell’esame della patente A.

Eravamo in un parcheggio semisconosciuto in una normale sera di pieno inverno. Attorno a noi c’erano gruppi di case e palazzi che chiudevano la visuale in ogni dove. Francesca mi aveva portato lì. Sapeva che qualche scuola guida nei dintorni aveva disegnato su quell’asfalto rozzo e fangoso il percorso per l’esame.
Erano ore che provavo. Ma non potevo mollare.
Quella sera… era la sera prima del giorno del mio esame.
Ed io, non riuscivo ancora a fare quel maledettissimo 8.

Tirai la leva della frizione, misi la prima. La spia verde del folle si spense. Lasciai pian piano la leva e la moto incominciò a muoversi. Mi posizionai sulla linea poco prima dell’esercizio più difficile. Sospirai, pronto a un nuovo fallimento.
Per i profani forse, potrebbe sembrare una cazzata disegnare un otto con una moto attorno a due birilli. E anch’io lo pensavo così qualche giorno prima. Che sarà mai? Ci riescono tutti!
Tutti… tranne me…

Ero pronto. Prima d‘iniziare voltai lo sguardo verso Francesca che mi guardava speranzosa. Quanta pazienza che aveva.
Mi rispose allo sguardo con un cenno del capo e partii.
Diedi poco gas cercando di non sforzare troppo il polso, ormai distrutto. Passai nel centro, tra i due puntini disegnati senza problemi. Poi iniziò la lunga curva della testa dell’otto che presi bene, quasi a filo del contorno, e senza passare su nessun birillo immaginario. Tornai al centro per la seconda curva dell’otto. Dove sbagliavo da circa 2 ore.
“Questa volta ce la devo fare!”
Accelerai entrando nella curva e capii subito che la traiettoria mi avrebbe portato su quel maledetto pallino bianco.
“No cazzo!”
Con rabbia strattonai il manubrio verso il basso. La moto s’inclinò leggermente e, per non cadere, diedi un colpo d’acceleratore, in modo che la moto tornasse diritta.
Così facendo però, non solo non ero caduto, ma avevo anche finito il percorso senza sbagliare.
E… rimasi di stucco. Avevo capito il segreto. Dovevo piegarmi per aumentare il raggio di sterzata. Solo così potevo completare le due curve dell’otto senza uscire fuori.
Tremavo… non solo per il freddo. Anche perché, si era aperta una vena di speranza e avevo ansia di riprovare.

Frizione… Prima… via…

continua… parte (VI)

Frammenti di vita #21

Ducati monster 620

Sei la cazzata più bella che io abbia mai fatto…

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