L’amicizia è come un while (Andrea parte #10)

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Fine Gennaio 2015
Sessione d’esami

– Allora… incominciamo… –

Era un giorno di fine Gennaio. La sessione d’esami era appena iniziata alla fine dei corsi universitari. Tutti gli studenti erano intenti a studiare tra quei corridoi del primo piano dell’U7. Nell’aria aleggiava un clima di ansia e trepidazione… che colpiva anche me.
– Secondo te, Andrea… ce la faremo? –
– Ma certo! E lo domandi anche? Dobbiamo mangiarcelo questo esame! – disse, sbattendo la penna sul tavolo.
Iniziai a capire che Andrea era poco paziente e abbastanza irrequieto. La cosa iniziava a piacermi. Mi spronava. Andrea aveva quella parte del carattere che a me mancava: l’impulsività. Era sempre un fiume in piena. Di parole… idee… progetti…
Dovevo sempre bloccarlo con: – Andre, dobbiamo studiare! – con scarsi risultati.
– Ok… cerchiamo di costruirci un metodo di studio. –
– Sì.. hai ragione… basta studiare come dei cani a casaccio! Qui si gioca seriamente… –
– Sempre a giocare stai tu! Nella tua testa c’è solo il calcio! –
– No dai! C’è anche altro! –
– La figa! Calcio e figa! –
– Effettivamente! –
– ANDREEEE SVEGLIAAAA –
– Sì Ciro, ci sono! Mmm guarda quella che sta arrivando… – disse toccandomi il gomito.
Osservai. Era una ragazza dai tratti portoricani. Pronunciata ma dal fisico esile.
La ragazza ci oltrepassò notando, con imbarazzo, che la stavamo osservando. Soprattutto Andrea che era rimasto incantato dal leggero ondeggio dei fianchi della tipa.
Feci schioccare le dita davanti ai suoi occhi per farlo riprendere.
– Andrea! Su su! –
– Certo! Ci sono… –
Incominciammo a studiare il linguaggio C. If ed else l’avevamo appreso a lezione abbastanza bene. Anche Andrea c’era su quel concetto così passammo oltre.
Il while.
– Allora Andrea… studiamo questo benedetto while. –
– Sai che non mi è mai entrato in testa? –
– Non è difficile… – dissi prendendo un foglio e una penna.
Disegnai un cerchio.
– Allora si parte da qui. Viene verificata la condizione, parte il primo ciclo e poi s’incrementa il contatore.  Capito? –
– Sì.. certo.. ci sono.. –
– Andre, è inutile che mi dici che hai capito se poi non è così…-
– ok… non ho capito… –
– Bene! Ricominciamo… Allora… –
… e andai avanti per almeno una decina di volte. Il foglio, ormai, era inguardabile. Avevo fatto talmente tanti cerchi che stava per bucarsi la carta. Ma Andrea non sembrava ancora convinto…

– Andre… ci sei? –
– No… –
– Ok… dammi un altro foglio… se non ti entra il while in testa, stasera non ce ne andiamo dall’università! –

continua… domenica 22 marzo

L’amicizia è come un while (Andrea parte #9)

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Ottobre 2014
Primo semestre anno 2014/2015

Gironzolavo impaziente per il primo piano dell’edificio U7. Osservavo, dalle grandi finestre, il piazzale antistante, dove solitamente si radunavano gli studenti per fumare o per perdere quel poco tempo tra una lezione e l’altra. Come al solito, Andrea era in ritardo… ma era Andrea… e quindi non me ne preoccupai più di tanto. Ero pensieroso. Poco prima, gli avevo risposto che dopo la lezione potevamo vederci lì.
Non lo vedevo ne sentivo da almeno 6 mesi. L’estate aveva diviso le nostre strade in modo netto. Non sapevo come l’avrei rivisto… se il tempo avesse segnato quel briciolo di amicizia costruito tra i banchi.

– Ciroooooo – sentii urlare alle spalle. – Come va? Allora? –

Andrea mi venne incontro e mi abbracciò. Un abbraccio che suonò quasi irreale dopo tutto questo tempo… ma era caloroso e sincero. Come da lui.
– Ciao Andrea! Che piacere vederti! – risposi.
– Già.. scusami se non mi sono fatto sentire… c’ho avuto un’estate complicata. Mi sono lasciato con la ragazza.. il lavoro… che facciamo andiamo a mangiare in mensa? –
Sorrisi. Andrea era rimasto il solito. Sempre proiettato al futuro. Non terminava una frase che nella successiva c’era già quello che doveva fare dopo. Era sempre un fiume in piena.
– Si certo… andiamo… – risposi anche se non avevo mai mangiato nella mensa di quell’edificio.
Soprattutto era un periodo difficile per me. I problemi con l’università mi avevano scombussolato l’alimentazione. Il mio piatto principale era tennent’s e patatine.
In mensa guardai un po’ disorientato tutti quei cibi. Quelle portate… i contorni…. Non sapevo cosa prendere. In realtà non volevo prendere niente.
— Solo un piatto di riso… – dissi alla gentile addetta alla mensa. Poi andai a cercare un posto dove sederci.
Andrea arrivò subito dopo, con vassoio stracolmo di primo secondo e contorno. Guardò il mio vassoio e quasi s’intristì.
– Solo quello mangi Ciro? –
– Si… oggi.. voglio stare leggero… –
– Ma stai scherzano? Ma va! Predi questo! Suvvia! – disse iniziando a tagliare metà della sua bistecca.
– No Andrea… davvero… graz…- non mi fece nemmeno finire che mi aveva dato metà della sua bistecca.
– Devi mangiare… non scherzare… – mi disse serio.
Feci un sorriso forzato. Apprezzai molto quel gesto che gli venne spontaneo.
– Mangiare è importate! –
– … –
– Allora? Cosa facciamo con questa informatica? – disse.
Smisi di mangiare per un secondo. Guardai Andrea e dopo un attimo di silenzio…
– La passiamo! Ma dobbiamo studiarla come mai abbiamo fatto prima! –

continua… giovedì 19 ore 10:00

Qui c’è il post che si ricollega alla storia:
Frammenti di vita #27

L’amicizia è come un while (Andrea parte #8)

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Ottobre 2014
Anno 2014/2015
Primo semestre

Camminavo lungo il sottopasso del tram 7 in direzione della mia università. Ero insieme ad altri studenti che, ovviamente, non conoscevo. Ero solo quindi… solo tra la folla.
All’uscita dal sottopasso iniziavo a scorgere il grosso edificio arancio scuro. Sembrava una bella giornata, dal sole che scoppiava in cielo. In pieno contrasto con il mio animo.
Era il primo giorno di corsi dopo le vacanze estive e l’intricata sessione di settembre.
Iniziava una nuova vita, fatta routine mattiniere… percorsi obbligati… nuovi libri… nuovi sacrifici.
Ed ero solo ad affrontare tutto ciò. Quanto avrei voluto qualcuno con cui prendere un caffè quella mattina! Magari scambiare due parole… lamentarsi degli orari e delle mancate pause pranzo.
Niente… Gli unici a rispondermi erano i miei pensieri. Sempre troppo carichi di ansie e aspettative.
“Questi saranno gli ultimi corsi che seguirò…” pensai. “Informatica non la seguirò più!”
Avevo passato il mese di agosto al pc. Mentre tutti gli altri postavano le foto delle loro meravigliose vacanze in ogni social network esistente, io ero nella mia camera a Milano, a divincolarmi tra costrutti C e sintassi di SQL. I miei unici amici erano i libri. “Ce la farò!” pensavo ogni mattina prima di alzarmi dal letto. Purtroppo il destino non fu dalla mia parte. Le intricate regole della propedeuticità m’impedirono di poter dare l’esame a settembre. Come può Statistica essere propedeutica per Informatica? Ancora oggi me lo chiedo. Ma allora lo scoprii troppo tardi… o forse nel giusto tempo. Perché, dopo averlo scoperto, tutti i miei sacrifici mi crollarono addosso. Stetti un giorno a guardare il soffitto pensando a quale gioco stesse giocando il destino con la mia vita.
Poi mi rialzai… presi il libro d’informatica e lo misi da parte. Presi statistica… e la preparai in tempi record per il primo appello utile di settembre.

E la passai… (ma questa è un’altra storia)

Il conto con informatica era solo rimandato di qualche mese. Non c’erano più impedimenti… Avrei dato quell’esame al primo appello!
Purtroppo dovevo aspettare gennaio…
“Chissà Andrea se…” pensai.
“Chissà Andrea dov’è finito!”
Sospirai. Ci speravo in quell’amicizia. Stava proseguendo bene. Avevamo l’età giusta … stessi gusti… opinioni concordi. “Cos’altro serve?”

Dopo un veloce caffè al bar dell’università, mi sistemai tra i primi banchi dell’aula 2 dell’edificio. Mi guardai intorno. Forse avrei conosciuto qualcuno tra quei banchi. Tutte facce nuove a parte qualche conoscente che saluti perché hai visto già in altri corsi ma non c’hai mai legato.
La professoressa sulla quarantina entrò dalla porta laterale con in mano un vecchio pc. Lo collegò al proiettore… ci guardò e fece partire la prima slide.
– Benvenuti al corso di Market Driven Management… –
Descrisse il corso.
Ritrovai la carica. Quel corso era stimolante. La professoressa gentile e cordiale. Ascoltavo. Forse quello era il primo corso che non comprendeva studiare una marea di formule infinite.
Buttai un occhio al cellulare. La spia rossa lampeggiava. Era un messaggio.
Sorrisi quando lessi il nome di Andrea.

[ Ciao Ciro! Come va? Da quanto tempo! Informatica?
L’hai data immagino!
Io non ce l’ho fatta per il lavoro! Mi tocca darla a Gennaio…
Allora? Ci vediamo per un caffè se ti va. ]

continua… domenica 15 marzo

L’amicizia è come un while (Andrea parte #7)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Ultima lezione

Caldo. Faceva veramente caldo quel giorno. Le maniche corte non bastavano a stemperare il calore corporeo. Ero solo. Sembravo l’ultimo guerriero superstite all’ultima battaglia. Come in quasi tutti i corsi universitari, alle ultime lezioni non viene quasi mai nessuno.
Quindi… ero solo. Non mollavo… non mollo mai. Anche quando le cose si fanno particolarmente difficili.
Quel corso era trascorso molto bene. Le lezioni, con la compagnia di Andrea, non sembravano tali. C’era sempre qualcosa da dire… da fare… da spiegare. Io a lui principalmente. Mi scocciava un po’ fare il maestrino ogni volta: il ragazzo “so tutto io” (e voi non siete un cazzo… per citare l’amatissimo marchese del Grillo). Non sono quel tipo di ragazzo. Certo… so fare delle cose che vanno al di là della comune media maschile (impiantata tra calcio e fighe)… ma è tutto dovuto alla mia irrefrenabile curiosità più che a manie di grandezza e di “supremazia” intellettuale.
Guardai il posto vuoto di Andrea.
“E’ l’ultima lezione…” pensai “Dai… non mi lasciare da solo…”
Com’ero ridotto male. Può l’amicizia ridurre un ragazzo discretamente intelligente a parlare con un posto vuoto nella speranza che venga riempito?
Sì… quando l’amicizia diventa rara come l’acqua nel deserto e diventa la cosa che più desideri al mondo.
Il professore stava sistemano il pc e si apprestava a cominciare.
Guardai l’orologio.
“Andrea non è mai stato puntuale in tutti questi mesi… arriverà col solito ritardo…”
Il prof guardò l’orologio e si accorse che era il momento d’iniziare la lezione.
Si avvicinò alla porta.
Guardò che nessuno fosse nel corridoio.
La chiuse.
Era proprio quello il momento in cui Andrea, di solito, sbucava, bloccando la porta ed entrando al volo.
Non quel giorno. Non vedevo nessuno che correva lungo il lungo corridoio, fino all’aula.
Nessuno.
Nessuno che urlava… Gesticolava…
Niente. Quel giorno Andrea non ci sarebbe stato. Dovevo farmene una ragione.

“Allora ragazzi incominciamo!” disse il professore rivolgendosi all’intera aula.

Sbuffai… e sconsolato aprii il mio blocco d’appunti.
“Sarà rimasto imbottigliato nel traffico… la sua ragazza l’avrà tenuto sveglio tutta la notte… “
Tentavo di trovargli qualche banale scusante d’affibbiargli. Non volevo pensare che m’avesse totalmente ignorato. Avevamo passato mesi insieme, su quei banchi… e proprio all’ultima lezione….

“Messaggio…”

– Ciro! Scusami ma oggi proprio non ce la faccio! Dai ci becchiamo presto! Ieri ho fatto tardi con la tipa… mannaggia! Te? Sei già a lezione? Fammi sapere, poi, cosa fa il prof… –

Sorrisi… ma subito dopo mi salì un po’ di tristezza. Momenti così li avevo già vissuti in passato. Con altri ragazzi con cui ho cercato di costruire un’amicizia. Purtroppo finiva sempre con “dai.. poi ci becchiamo in giro…” e mai più.

I rapporti si assottigliano. I legami si raffreddano… e con gli anni i nomi passano di mente.
Come niente…

E andò così. Ci sentimmo nei giorni successivi. Gli passai gli appunti. Saluti e cazzeggiamenti, sempre per messaggi.

Poi… poi niente più…

Andrea si dissolse come neve al sole… dopotutto… era appena iniziata l’estate.

continua… giovedì 12 marzo

L’amicizia è come un while (Andrea parte #6)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Settima lezione

Ero in anticipo. Mi ero sistemato al mio posto. Il solito. Ormai quel pc del laboratorio era diventato personale. Avevo sistemato le icone e cambiato lo sfondo. Mi piace personalizzare le cose che uso.
Quel giorno ero da solo. In aula c’erano poche persone oltre a me. Nessuna traccia di Anjalie e di Andrea. Mi avrebbe fatto piacere rivederlo. Ci speravo.
La lezione cominciò. Il professore aveva disposto sulla cattedra un bicchiere e due bottiglie. Voleva spiegarci un costrutto del linguaggio C. Uno dei più usati: il while.
“Dato che il calcolatore non è in grado di svolgere un problema in blocco… Va bene… Questo deve essere spezzettato in piccole parti facilmente eseguibili… va bene… “
Era una strana spiegazione. Oltre ai continui intervalli con “va bene” abbastanza superflui, cercai di capire come si potesse spezzettare un problema come, chessò, trovare il maggiore tra un gruppo di numeri. In tutta la mia vita mi sono limitato al mio utilissimo dito indice, che, di fronte a un gruppo di numeri non aveva nessun timore a indicarne il maggiore. Per il computer però, non era così semplice. Forse perché mancava di dito indice (concedetemi quest’umorismo spiccio… ) o forse perché:
“Ricordate che il calcolatore esegue piccole operazioni UNA alla volta… va bene…”
Il professore prese in mano la bottiglietta d’acqua e il bicchiere.
“Mettiamo che vogliamo riempire questa bottiglia d’acqua… va bene… e abbiamo un solo bicchiere a disposizione… va bene… prepareremo un ciclo di tot volte, in cui, ogni volta riempiamo il bicchiere e lo verseremo nella bottiglia…va bene…”
Tutto chiaro. Anche se acqua e computer non sono mai andati d’accordo per quel che mi riguarda. Improvvisamente però, notai dalla finestrella della porta d’ingresso un ragazzo che gesticolava animatamente. Era Andrea. Sorrisi scuotendo la testa. Non poteva entrare perché la porta si apriva solo da dentro e il professore era intransigente su certe cose.
Andrea muoveva la mano come per dirmi “Dai, vienimi ad aprire!”. Sospirai. Era una cosa che non si poteva fare e non volevo mettermi in cattiva luce davanti al prof, visto che ero sempre al primo banco.
Però… non potevo lasciarlo lì fuori.
Mi alzai lentamente. Sfruttai un attimo di distrazione del prof. Girai velocemente la maniglia e lo lasciai entrare. – Grazie Ciro! Mi hai salvato… –
– Shhhh il prof sta spiegando… –
– Ah sì… ok… –
Ci sedemmo in modo furtivo.
– Cosa sta facendo? – mi chiese Andrea.
– Spiega il while… –
– Ah certo! Com’è? Difficile? –
– Eh non lo so! Se non mi fai seguire! – dissi sorridendo.
– Certo scusa, scusa… –
Passarono 30 secondi di orologio.
– Ciro scusami ma qui com’è che si apriva? –
– Clicca lì e fai apri nuovo progetto… –
– Perché il prof ha quella bottiglia in mano? –
– Lunga storia… –
– E questo while che c’entra? –
– Andre… –
– Sì –
– TACI! –
– Eh Porca troia! Manco fossimo in chiesa! –

“Silenzio! Lì al primo banco o vi caccio!”

 

continua… domenica 8 marzo

L’amicizia è come un while (Andrea parte #5)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione
Fine lezione

“Bene! Ci vediamo la settimana prossima. Buon Weekend.“

Il professore ci congedò con un rapido saluto. Tutti ci alzammo come quando in chiesa la messa giunge al termine. Salutai Anjalie che, con il suo solito fare, scappava via senza tanti preamboli. Mi girai verso il ragazzo milanese. Stava mettendo a posto le sue poche cose. Gli porsi una mano.
– Comunque io sono Ciro. Piacere. – mi strinse la mano con vigore.
– Andrea. Piacere mio. Sei stato molto gentile ad aiutarmi. Io sono negato… –
E iniziò a parlare… e parlare… e parlare ancora.
Una volta che aveva cominciato, quel ragazzo, non la smetteva più. Iniziò, di punto in bianco, a raccontarmi di se.
– …Ogni mattina è dura essere qui in orario. Abito fuori Milano. A Cesano Maderno. Conosci? –
– Beh… in teoria… –
– Te da dove vieni? Dal sud Italia immagino. Sai, anche io ho origini del sud. Pugliesi in particolare … I miei dopo una vita qui sono tornati giù… Ed io sono rimasto qui… ma un giorno…  –
E continuava… continuava…
Nemmeno mi ero accorto che stavamo già percorrendo il lungo corridoio. Andrea era un sottofondo continuo che ti distraeva dai pensieri. Ogni tanto sorridevo quando bloccava le mie risposte a metà per parlare di se… della sua vita… delle sue esperienze.
– Vuoi un caffè? Te lo offro io. – mi disse all’improvviso. Tentennai col capo. Lui però aveva già inserito una monetina e aspettava, scorrendo col dito suoi tasti, impaziente. Sapevo che se non gli avessi detto niente, lui avrebbe scelto al mio posto. Quindi gli dissi subito: – Lungo! – ma la mia mente era rimasta ancora alla domanda di prima. Era incontenibile. Aveva una strana vitalità coinvolgente.
– Come lo vedi questo esame Ciro? –
– Mah… difficile… ma non impossibile. Basta seguire. Entrare nel meccanismo… –
– Io non lo so… sono anni che ci provo… con l’informatica sono proprio negato… –
Come fare a non aiutare quel ragazzo? Era buono, gentile, instancabile. Aveva una marea di qualità.
Salimmo le scale per uscire all’esterno dell’edificio.
– Tu dove devi andare Ciro? Ti do un passaggio? –
– Abito a Lambrate… prendo il treno da Greco Pirelli… –
– Mannaggia! Devo andare da tutt’altra parte. Però… un passaggio alla stazione te lo posso dare… così risparmi il tragitto a piedi… –
– Beh… se proprio insisti… –
– Ma certo. Vieni… Quella è la mia macchina. –
Salii su quella tre porte un po’ sgangherata. Subito Andrea si scusò per il disordine e raccontò che “questo” era qui per “quello” e “quello” era qui per “questo”. Partì subito senza far riscaldare la macchina o allacciarsi le cinture o almeno controllare gli specchietti. Ero un po’ in ansia a dir la verità, soprattutto quando il segnale delle cinture iniziò a emettere un suono fastidioso.
Curvava stretto, strombazzava ai passanti, evitava le buche in modo brusco. Di solito sono io quello che guida così e trovarsi dal lato del passeggero era una novità. La mia preoccupazione saliva sempre di più quando al suo stile di guida intervallava messaggi al telefono e racconti della sua vita.

– Andrea! Andrea! Aspetta! Fermati qui! Sono arrivato – gli dissi in tempo. La stazione non era distante.
– Di già? Allora ci salutiamo Ciro! Ci becchiamo alla prossima lezione. –
– Sicuramente… –

 

continua… giovedì 5 marzo ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #4)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione
Seconda Ora

“Il ciclo if – else consente al programma di compiere una scelta. Valuta prima la condizione e in caso di risposta affermativa, esso segue una strada, altrimenti un’altra.” 

La spiegazione sembrava impeccabile almeno sulla carta. La teoria era semplice. Era la messa in pratica alquanto difficoltosa.
Scrivevo.
Scrivevo con la nuova penna prestatami dal ragazzo milanese. Anche lui era intento a scrivere sul suo blocco di appunti spiegazzato. Lo osservai un istante. Sembrava attento. Osservava il professore con aria curiosa poi chinò il capo e iniziò a scrivere. Guardai i suoi appunti e quella visione mi rattristì…
Quei fogli spiegazzati erano piene di scritte senza un filo logico. Cancellature ovunque. Disordine.. L’unico colore predominante era il nero. Mi ricordava qualcosa… o qualcuno…
Quel ragazzo non avrebbe passato sicuramente l’esame se avesse continuato così. Oltretutto non aveva la minima idea di come si usasse un software di compilazione. Ricordava me qualche anno fa, quando, poi alla fine decisi di abbandonare. Non volevo che succedesse anche a quel ragazzo affabile e gentile.
Potevo aiutarlo… o almeno indirizzarlo sulla giusta strada con qualche consiglio. Che mi costava?
Ah… sospriro.
Devo smetterla di aiutare tutto e tutti… Ricordi?! 
“Quanto avrei voluto qualcuno che mi desse una mano…” quelle parole riecheggiavano ancora nella mia mente, nonostante gli anni passati.

“Allora ragazzi. Aprite il programma di compilazione DevC++. Costruiamo il costrutto IF – ELSE. “

Il ragazzo milanese si mise a smanettare al pc. Ovviamente non sapeva da dove cominciare e tentennava nei passaggi. Guardai la penna che mi aveva prestato.

“Ripeto… if-else permette una scelta… sarete voi, poi, a costruire il cammino del programma…”

Una scelta…
proprio quella che mi serviva. Aprii il programma e iniziai subito a digitare.
– Maledetto! Come cavolo si fa! –
Sentivo il ragazzo imprecare e cliccare a caso ovunque. Non ce la facevo a guardare quello scempio. Decisi d’intervenire.
– Clicca sul primo tasto e apri un nuovo progetto. – dissi continuando a fissare il mio pc.
– Cosa? – rispose.
Mi girai e ripetei: – Ho detto, clicca sul primo tasto… –
– Qui? –
Sbuffai, il ragazzo non era proprio sintonizzato. – Aspetta, guarda qui… –
Gli presi il mouse dalle mani e gli impostai il programma. – Ecco… –
– Wow! Grazie! Ci sai davvero fare con i pc. – disse.
– Non è difficile… serve solo un po’ d’attenzione. – risposi
– No… ma io sono proprio negato. –
– Beh… allora partiamo male per questo esame… –
– Eh già… e tipo la quarta volta che lo seguo… – disse rammaricato.
Non risposi. Mi concentrai sulla spiegazione del professore. Quella frase però mi colpì. Sapevo bene cosa si provasse ad abbandonare un corso. Ti si riempie il cuore con l’amaro del fallimento e non sai cosa fare… se non ripartire… ancora… e ancora…
No! Quel ragazzo ce la doveva fare! Doveva uscirne da quella prigione invisibile. Come me…

“Bene… iniziamo a costruire la strada dell’IF… che viene intrapresa se la condizione si avvera…”

Il professore parlava. Guardai di nuovo la penna.
– Porca Troia! – disse il ragazzo milanese.
Sorrisi. Dovevo aiutarlo.
Male che vada avrei conosciuto qualcuno di simpatico.

– Aspetta! Non martellare quella povera tastiera…Ti faccio vedere… –

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continua… domenica 1 marzo ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #3)

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Secondo semestre anno 2013/2014
Sesta lezione.

Ero di fronte alla macchinetta del caffè. Aspettavo che completasse il lavoro. Tra me e l’aula d’informatica ci separava solo un lungo corridoio. Biip emise il grosso aggeggio. Presi il bicchiere e, al contrario delle altre volte, inserii un’altra monetina per un altro caffè. Quella mattinata s’era ripetuta uguale alle altre. Puntuale, terzo posto, di fianco Anjalie…
Dopo i soliti saluti avevo preso l’iniziativa con un “Vuoi un caffè? Vado a prendertelo io!”. Lei, un po’ titubante, scosse il capo in segno affermativo. Non seppi mai se mi disse di sì perché voleva il caffè o perché avrebbe potuto violare qualche strana consuetudine religiosa rispondendo in modo scortese a una richiesta gentile.
Il caffè era a metà del suo corso e mentre aspettavo, soffiavo sul mio per farlo raffreddare. Improvvisamente vidi scendere dalle scale il ragazzo milanese incrociato nell’ultima lezione. La sua andatura sicura non passava di certo in osservata. Mi guardò e sorrise, dirigendosi poi verso il lungo corridoio.
Biiip… La macchinetta aveva finito. Presi in mano i due caffè e andai verso l’aula.  Appena sulla porta vidi il volto sorridente di Anjalie. Subito le porsi il caffè, infilando il braccio tra i monitor dei pc sui banchi. Girai attorno al banco e fu allora che notai il ragazzo milanese, messosi proprio accanto al mio posto. Forse voleva mettersi al mio pc e Anjalie gli avrà detto che quel posto era occupato. E’ strano come il pensiero di quel piccolo e minuzioso gesto mi avesse fatto sorridere. Nessuno mai mi aveva tenuto il posto a lezione; e la volta che succede me la perdo anche! 
Chiesi permesso e il ragazzo mi fece passare con la solita gentilezza nelle parole. Mi sedetti e con calma e cura studiata, sistemai l’altezza della sedia a rotelle. Il pc, ovviamente, faticava a caricarsi. Il professore chiuse la porta, trangugiai il mio caffè e la lezione cominciò.

Il mio programma era sempre impeccabile. A volte, quanto il vecchio pc dell’università tentennava, cercavo il problema del rallentamento e lo sistemavo. Di fianco a me Anjalie scriveva i suoi appunti con attenzione. Dall’altra parte, invece, scoppiavano piccole battaglie tra uomo e macchina in cui quest’ultima aveva sempre la meglio. Il ragazzo milanese non ci sapeva proprio fare. Era un caso perso. Aiutarlo sarebbe stato un buco nell’acqua, come ne avevo fatti tanti in passato. Dovevo concentrarmi sul mio esame e non più su quello degli altri.
Però era divertente osservarlo. Intervallava gli sbuffi ai porca troia con una cadenza quasi regolare. A un certo punto si stancò di combattere con il pc e prese un foglio bianco tutto spiegazzato. Inoltre cacciò un paio di penne nere dalla marca sconosciuta e le appoggiò sul banco.
Cominciò a scrivere. Passò circa un’ora molto tranquilla. Avevo lasciato perdere il teatrino di fianco a me per calare la mente sui miei appunti. Negli anni avevo sviluppato e maturato un buon sistema d’organizzazione dei concetti. Usavo penne di vario colore per dividere le nozioni chiave dalle semplici descrizioni. I colori andavano dal rosso al nero passando per il viola e il verde. Tutti erano fondamentali alla mia organizzazione di appunti. Nessuno escluso. Ecco perché, quando la mia penna nera iniziò a tentennare, mi salì la mia solita ansia da cose stupide. Non potevo continuare a scrivere gli appunti in rosso o verde. Il nero era fondamentale. Quindi, quando la penna si esaurì del tutto. Guardai subito verso Anjalie, per chiederle una mano. Ma era troppo intenta a scrivere velocemente per disturbarla. Così mi girai verso il ragazzo milanese, ricordando la marea di penne tutte uguali che aveva disseminato sul banco. – Mi presti una di quelle? – dissi indicandone una.

– Ma certo! Anche due! Tanto le frego a lavoro!  Prendi pure! –

Sorrisi… presi la penna e continuai la stesura dei miei ordinatissimi appunti.

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continua… giovedì 26 ore 10:00

L’amicizia è come un while… (Andrea parte #2)

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Tre anni dopo…

Secondo semestre anno 2013/2014
Quinta lezione.

Ero puntuale come un orologio svizzero a sedermi nel terzo posto della prima fila, poco distante dalla cattedra. Il professore era arrivato da qualche minuto e s’era seduto al suo posto di fronte a noi. Aveva un’aria contrariata stamane. Forse qualcosa lo disturbava; forse qualcosa che stava controllando al suo Mac nuovo fiammante; mentre i nostri pc, come al solito, faticavano ad accendersi. Di fianco a me c’era Anjalie, una timida ragazza indiana che un paio di volte aveva accennato a chiedermi qualcosa. Si sedeva tutte le mattine nello stesso posto; e, dato che anch’io, sono un tipo che, tutte le mattine si siede sempre nello stesso posto, abbiamo finito per conoscerci. Certo è che la definizione di conoscenza richiederebbe qualcosa in più di un semplice scambio di nomi; ma per il mio standard di socialità era già molto… e meglio di niente.

– Tutto bene Anjalie? – le chiesi.
– Si tutto bene… – mi rispose in uno stentato italiano.

A questo si limitavano le nostre conversazioni. Poi, si rimaneva in silenzio per le successive 2 ore; e ci si salutava alla fine; prendendo strade diverse.
Il professore guardò l’orologio, alzò gli occhi e avanzò verso la porta d’entrata ancora aperta. Se c’era una cosa che non tollerava, erano gli studenti che arrivavano in ritardo; e, durante la sua lezione, non si poteva né entrare né uscire. Si apprestava a cominciare la lezione, quindi, con un gesto della mano, rimosse il blocco che teneva la porta aperta e la chiuse.
Improvvisamente alla finestrella sbucò il volto di uno studente che ovviamente voleva entrare, anche se il professore aveva appena chiuso la porta. Lo studente fece una capanna con le mani cercando d’impietosire il docente che lo osservava. Quest’ultimo sorrise e lo fece entrare.

– Grazie Prof! Oggi c’era un traffico! La tangenziale bloccata! Ho cercato di….. .
– Sì.. sì.. si! Vai a sederti! –

Il ragazzo moro con uno spiccato accento milanese si avvicinò ai banchi. Vide che di fianco a me c’era un posto libero e si sedette in tutta fretta. Iniziò a muovere il mouse e a digitare qualche tasto senza senso.
– Sembra funzionare sto catorcio! – disse sottovoce.
Feci un mezzo sorriso.
Il professore aveva da poco iniziato a sfoggiare tutto lo scibile intorno alla procedura d’iterazione nel linguaggio C. Lo ascoltavo attento. La lezione del giorno e quelle successive comportavano l’utilizzo di un software di compilazione che dovevamo usare mentre il prof. spiegava. Nella mia spiccata pignoleria, avevo aperto il programma, allargato la finestra per vedere meglio, inserito commenti utili vicino ai costrutti e ogni tanto salvavo per non perdere il lavoro. Accanto a me Anjalie, faceva più o meno lo stesso mentre, dall’altro lato invece, il ragazzo milanese davanti al pc, sembrava un orango che cerca di mettere un triangolo nella fessura quadrata. Batteva sulla tastiera con una forza inconsueta e sbuffava quando non riusciva a capire cosa fare. Ogni tanto parlottava e imprecava sottovoce. Una parte di me voleva aiutarlo, l’altra parte invece, lo odiava, perché intenta a seguire la lezione che stava quasi per terminare. Mi feci gli affar miei…
Il professore aveva appena finito. Salvai tutto sulla mia penna usb. Riposi le cose nello zaino, salutai Anjalie e chiesi al ragazzo milanese il permesso di passare dato ostruiva il passaggio tra i banchi e l’uscita. Si voltò frettoloso e mi disse:

– Certo! Scusami tu! –

 

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continua… domenica 22 ore 10:00

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