Storia di una casa (#24)

2006/2007

 – 24 –

La caffettiera fumava e brontolava in un insolito sabato mattina. Insolito, perché l’ospite cui stavo servendo il caffè, non immaginava affatto di doversi catapultare lì a quell’ora.
Solo per una strana coincidenza e un maldestro disguido, mi trovai, seduto al tavolo della cucina, con Paola.
–       … Quindi studi economia? – mi chiese.
–       Sì, ho appena iniziato… –
– Anch’io ho studiato economia, e l’anno scorso sono andata in erasmus in Cina. –
–       In Cina?! –
–       Sì, è stata una bella esperienza e poi i cinesi sono così simpatici… –
–       Mah… io non so se avrei il coraggio di andare così lontano… e in Cina per giunta! –
Paola mi raccontò un po’ di sé. I capelli biondi le incorniciavano una faccia acqua e sapone e gli occhi azzurri le davano un’aria da ragazzina ingenua. I suoi discorsi, invece, smentivano l’apparenza, rivelando la ragazza matura qual era. Aveva studiato le stesse materie difficili che stavo apprendendo; aveva fatto pratica lavorando; aveva viaggiato all’estero standoci per mesi e mesi, al contrario di me che ancora restavo affezionato al suolo italiano. Fu curioso ascoltare il suo percorso accademico nell’ambito economico. Sembrava un modello da seguire, un miraggio, un angelo catapultato in casa per indicarmi la via giusta. Forse, qualcuno lassù aveva ascoltato le mie ansie e le mie paure per il futuro incerto, su una dissestata carriera universitaria.
–       Oh cavolo… devo andare! Ciro… è stato un piacere conoscerti. –
–       Anche per me… –
–       Grazie per il caffè… era buono. –
–       Come sei brava a dire le bugie! –
Paola mi sorrise e se ne andò. Non servì che l’accompagnai perché conosceva l’uscita di casa alla perfezione. Chiusi il portone e guardai le chiavi nella mia mano pensando al perché quella ragazza era finita in casa mia.

Qualche ora prima dormivo beatamente in un letto che ancora doveva prendere la mia forma. Con molta difficoltà, abbracciai Morfeo, che stranamente aveva assunto le sembianze del mio cuscino. Il rumore del portone che si chiuse mi svegliò e, guardando il sole già alto, capii che era troppo tardi per fare colazione. Solo a quel punto mi accorsi che, mentre un piede veniva coccolato dal tepore delle coperte, l’altro era intento a saggiare la fresca aria di fine ottobre da chissà quante ore. Sentii un rumore di chiavi e poi nulla più.
Francesco è partito. Pensai.
Mi alzai zoppicando sul piede congelato. Trascinai il mio corpo in bagno e dopo qualche colpo d’acqua in faccia, il mondo tornò a colori. Mi spogliai, mi vestii e fui pronto per l’appuntamento con la mia ragazza. Sarei andato a prenderla a scuola in quel di Lodi, ma dovevo sbrigarmi per non fare tardi. Chiusi la porta della stanza e fui davanti al portone dell’appartamento. Lo guardai sapendo che Francesco lo aveva chiuso prima di andarsene. Così appoggiai la mano sul mobiletto in vetro accanto all’entrata. Stranamente la mia mano non riusciva ad afferrare le chiavi cosicché guardai e vidi che effettivamente non c’erano.
Merda. Sicuramente le aveva prese Francesco scambiandole per le sue. Avevamo preso entrambi l’abitudine di poggiare le chiavi su quel mobiletto, sia all’uscita che al ritorno. Presi il cellulare e cercai il numero nella rubrica ma, prima di chiamarlo, mi avvicinai alla sua stanza.
Forse la sua copia è in camera sua…
Aprii e in punta di piedi entrai. Guardai ovunque ma non trovai niente che assomigliasse a una chiave. Mandai un messaggio a Francesco che, profondamente dispiaciuto, mi comunicò che si trovava su un treno diretto verso sud e che aveva con sé entrambe le copie.
Dannazione! Dissi muovendo la maniglia in modo compulsivo. Come avrei fatto a uscire?
Per prima cosa rovistai in ogni angolo della casa alla ricerca di una fantomatica chiave di riserva. Correvo in giro per la casa come un forsennato per ritrovarmi in balcone con l’idea strampalata di saltare su quello del mio vicino. Ma, mentre stavo per alzare una gamba oltre il parapetto, ebbi un acceso diverbio con la mia coscienza che mi ricordò di essere al quinto piano e che, presentarsi in casa d’altri attraverso il balcone non sembrava molto gradevole. Tornai sui miei passi. Mi sedetti a terra e, cellulare alla mano, chiamai la mia ultima chance.
–       Pronto signora… avrei bisogno di aiuto. Vede… sono rimasto chiuso dentro! –
–       Oddio Ciro! E ora come si fa? Non posso muovermi ora! Sono fuori tutto il giorno. –
–       Quindi sono in prigione in pratica! –
–       Beh… forse c’è una soluzione. Chiamo mia figlia Paola… speriamo che sia a Milano. –
–       Speriamo… –

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