Vita vita vita…
Sugli stessi passi mi trascinavo da giorni. Sulle stesse lunghe vie. Nella stessa grande città. Quella vita sembrava un gioco di specchi. Uno straordinario spettacolo d’illusioni che si ripetevano ogni giorno. Era difficile ammetterlo. Ma la vita in solitaria mi stava ustionando. “L’hai scelto tu”… mi dicevano… “ed ora vai… fino in fondo…”. Tre anni. Era quasi una prigionia. Io prigioniero delle mie scelte che dentro di me urlava di uscire. Era il Ciro delle bravate… delle notti bianche… e dal tasso alcolico sempre in salita. E lo reprimevo dentro. Perché avevo scelto la vita da bravo ragazzo. Avevo scelto di essere così: calmo, tranquillo e preciso. Ed ero prigioniero di quello stato… di quelle quattro mura e del suo interno. Prigioniero di libri incompresi e di appunti fugaci… di ore in metro e ore in uni… ore di semi libertà che come un prigioniero mi guadagnavo in settimana. Avevo la mente che scoppiava e la voglia di vivere nel sangue. Tremavo al solo pensiero della mia macchina che correva senza di me sulle strade… sulle mie strade. In quel posto che non aveva ancora perso il nome di “casa”.
Ho messo via un bel po’ di cose diceva qualcuno. E chi conosce almeno un briciolo di me… sa per certo quanto io riesca a metter via le “cose”.
Dannati ricordi.. continuano a tornare… nonostante anche le mie recenti amnesie. Come si fa? Come si fa a dimenticare tutto?
Forse non era questa la strada… forse la strada era continuare a creare ricordi… in modo che gli altri non abbiano il tempo di ritornare. Già…
Aeroporto di Malpensa..
– Correte!! Su! Siamo in ritardo!! –
Il sole entrava dalle grandissime vetrate alla mia sinistra. I miei passi erano gli unici a sentirsi in quell’enorme edificio. Il mio zainetto traballava mentre correvo a perdifiato.
Guardai in alto il grande orologio digitale.
9.23
– Cazzo cazzo… siamo in ritardo!! –
Mi girai indietro e vidi che avevo distanziato di parecchio Luca e mio cugino Ciro. Li guardai per un istante come per dirgli “Dannazione muovetevi!” ma non sembravano aver inteso.
Continuavo a correre.
Alla mia sinistra scorrevano le insegne dei vari imbarchi…
D-09
D-10
Ci siamo quasi. D-12 eccolo. Ci sono. Arrivai al banco stremato. L’hostess e un tizio pelato mi guardarono allibiti. – Dobbiamo imbarcarci… – dissi con un briciolo di fiato.
– Troppo tardi ragazzi… –
– No no… dobbiamo imbarcarci! – ripetei come se non mi avesse capito.
– Non si può più! Vede quell’aereo lì fuori… Il pilota sta già rollando… –
– Cazzo… –
In quel momento arrivarono anche i miei compagni. Videro la mia faccia e capirono all’istante.
– Ed ora che si fa? –
– Bè… ragazzi potete andare in biglietteria e vedere se vi cambiano il volo… – disse il tizio pelato.
Ci guardammo.
– Si… dai… torniamo indietro… –
– Che sfiga… vabbè… una volta nella vita bisogna perdere l’aereo… – disse Luca.
– Sai che bello se questo aereo cade e noi ci salviamo! –
– Già… come in Final Destination… –
– Metti che cade quello che prenderemo ora e quello no… – dissi io.
(Grattata scaramantica generale)
– Fermi fermi… guardiamo su questo schermo quando ci sarà il prossimo. Dunque.. Bari… Roma… Napoli… Ecco. 14.30. –
– Cavolo… così tardi… che facciamo fino a quell’ora? –
(Fruscio di vento stile deserto)
– Ok! Iniziamo col tornare in biglietteria. –
L’operazione in apparenza sembrava facile. In fondo dovevamo solo tornare sui nostri passi. Ma di ostacoli ne trovammo parecchi. Scale mobili a senso unico, tornelli, lunghi corridoi… quell’aeroporto sembrava costruito in modo che non si potesse più tornare indietro. Come se la perdita di un aereo fosse una cosa non concepita. Continuavamo a camminare. Lentamente questa volta. Dalla grande vetrata vedevo un aereo che stava partendo. Magari era il nostro… e fantasticavo sull’immenso spazio della pista d’atterraggio. Non sapevo perché ma m’incuriosiva. Era un gigantesco luogo… e tutto in confronto sembrava più piccolo. La prima volta che presi l’aereo non potetti ammirare tutto ciò. Perché arrivai a Milano che era notte fonda… e l’oscurità copriva il panorama. Ora invece la luce era ovunque e potevo ammirare quest’immensa realtà… fatta di aerei mastodontici, enormi sale d’aspetto, lucine intermittenti… e la torre controllo lontana…
Guardai avanti… i miei compagni di viaggio mi avevano distanziato. O forse ero io che avevo rallentato il passo. Eccoli lì… alla fine di quella fugace avventura durata 5 giorni. Tra litigi, battibecchi… e storie assurde…
Come quella sera che andammo a Cius… e che dopo tre giri di bionde invitammo la giovane cameriera ad alloggiare nel nostro albergo al parco della vittoria. Oppure quando nel ritorno a casa suonammo i campanelli di tutta Milano… come giovani adolescenti non contenti della loro età. Per non parlare delle passeggiate sui navigli alle tre di notte… quando ormai non c’era più nessuno… e tornare a casa era sempre un’impresa. Ma alla fine si ritornava sempre lì… dall’alto del mio balcone a fumare la solita sigaretta guardando la strada… e passare le notti insonne perché Luca, russava da Dio.
Ed ora li vedevo lì… che discutevano di non so quale discorso assurdo. E non sapevo cosa avrei fatto se loro non fossero esistiti…
Non so cosa farei se loro, ogni tanto, non spazzassero via…
…quest’aria di malinconica monotonia…
Alla prossima ragazzi..
ciao ciro!!!! ogni volta che leggo ciò che scrivi rimango senz parole…non ti dirò che è perchè scrivi bene….ma pe ciò che scrivi….sai a volte mi sembra di conoscerti…come se questo fosse possibile…però vorrei tanto che fosse cosi….sapere che ti frulla nella testa…certo non sono fatti miei…ma sono una maniaca della cuiosità….la vita del bravo ragazzo??? perchè l\’hai fatto???? se non ho capito male sei tornato all\’uiversità…..non so se dirti che è una cosa buona o meno…la vita è fatta per essere vissuta e se ti senti prigioniero di te stesso non sati vivendo ….dovresti sentire le vene piene di ciò che sei ed essere felice per questo….non sentirti prigioniero di un te stesso che in ealtà con te non centra niente….certo io alla fine non conosco niente di te quindi forse le miei parole sono le più inutili e le meno consigliate però….