…E le gocce di pioggia continuavano a battere sul vetro di questo mio posto finestrino. Continuavo a guardare fuori nonostante avessi terminato il mio hamburger e come si era solito in questi posti, bisognava sloggiare. Ma restavo ancora lì che giocherellavo con la cannuccia della Coca Cola. Già… la Coca Cola. Chi mi conosce almeno un po’ si sarebbe già chiesto perché mai avessi preso la Coca Cola? E secondo me dovrebbe chiedersi mille altre cose. Ma a ora non sono in vena di divagazioni esistenziali.
Ero lì, seduto al mio posto, con il cartone dell’hamburger ancora caldo e qualche patatina sparsa qua e là nel vassoio rosso. La pioggia continuava a cadere… seppur incerta. I rigagnoli d’acqua sul vetro sembravano piccoli fiumiciattoli che si congiungevano alla base. L’acqua ha intrinseco odore di fantastico. Lascia immaginare la purezza e l’unicità di un elemento che è alla base della vita. In quel momento mi chiedevo come facesse la pioggia a sapere dove andare. Mi spiego meglio. Quando una goccia d’acqua scorre lentamente sul vetro, sembra già sapere la strada da percorrere. Sembra avere un destino già scritto che nessuno può interrompere. Anche se piazzassi un dito in mezzo, la goccia ci scorrerebbe attorno e continuerebbe giù fino alla sua meta. Niente potrebbe fermarla… ne lei, ne le milioni di sorelle gemelle che s’infrangevano su quel vetro. C’è chi ci vedrebbe milioni di lacrime cadute da un volto immaginario. Un volto pieno di dolore e amarezza… sconcertato dal tempo nebbioso della propria vita. E un po’ di nebbia l’avevo dentro anche io. Il mio cuore non andava… si fermava… correva… giocava a mosca cieca… e mi faceva passare le notti insonni. Volevo ricominciare dal presente.
Mi alzai e mi sistemai. Infilai il mio anello al pollice e presi il mio giubbotto di pelle dalla sedia. Svuotai il mio vassoio nel cestino stando attento a non fare troppo casino. Trattenevo in mano la mia Coca Cola ancora piena per metà. La portai via con me. Appena fuori, chiusi la porta a vetri e diedi una lunga sorsata alla cannuccia.
La strada era disseminata di pozzanghere che riflettevano le varie luci della città. Iniziai a camminare addentrandomi nella notte di questo mondo fantastico…
Continua…
– Dai ora smettila… – le dissi con dolcezza sfiorandole il viso. Lei si voltò come per non farsi vedere da me in quello stato. I suoi capelli si mossero con lei e qualche lacrima svanì luccicosa nell’aria. Lo sapevo… era di nuovo colpa mia. L’avevo scossa con i miei soliti pensieri. La mia solita vita difficile anche da raccontare. I miei guai, i miei casini, le avventure in cui mi cacciavo sempre. “Non so se ne riuscirò a venir fuori” le avevo detto. E questa non era una menzogna. Non sapevo proprio da che parte cominciare ed in mente mi girava l’idea di come finire. “Promettimi che non farai stronzate…” m’intimò lei con gli occhi arrossati. “Te lo prometto… ti prometto che qualsiasi cosa accada ne uscirò vivo”. Ed in parte mantenni quella promessa.
Volsi lo sguardo al cielo. Il freddo si faceva più pungente e le gocce di pioggia cadevano con più coraggio. La guardai… Aveva indosso il mio giubbotto di pelle. La superficie lasciava scivolare via le gocce d’acqua senza trattenerle. Io invece, sentivo l’acqua penetrarmi la felpa ed arrivarmi alla pelle. Amavo la pioggia… e amavo anche sentirla addosso. Ovviamente non uscivo in strada tutte le volte che pioveva! Ma quelle volte in cui, costretto dagli eventi, ero rimasto sotto la pioggia mi piacque parecchio. Si creava una strana atmosfera… difficile anche da descrivere. In quel momento ti senti solo… isolato. Le altre persone corrono con i loro ombrelli in cerca di un riparo. E la pioggia è lì… che crea una sorta di scudo immaginario tra te e il mondo. Senti l’acqua bagnarti il viso… il capelli… le mani… Senti le pozzanghere formarsi piano piano lungo il tuo percorso. Senti il rumore dell’acqua che cade. Una giostra… un’armonia… una poesia vissuta. E lì… chiudi gli occhi lasciandoti trasportare dalle emozioni.
Ma un brivido ti riporta alla realtà. Alla vita quotidiana… alla consapevolezza che la pioggia in fondo è solo pioggia e devi andartene al più presto.
– Dai.. facciamoci un giro… – dissi.
La vita è come una melodia musicale. A volte suona note cupe e basse… contorcendoti il cuore in spasmi dolorosi. Poi, dopo un po’, si passa gradualmente ad arpeggi più alti e melodiosi. È un saliscendi di emozioni. Una volta si è giù… e poi di nuovo su. Questo era il teorema di quel periodo di vita. Quel pezzo di strada dissestato su cui mi accingevo a camminare. Un po’ come questo scomodo viottolo ciottoloso.
Un colpo di vento ci riportò il sorriso. La pioggia ci batteva violentemente sul volto. Eravamo in mezzo al corso principale e cercavamo un riparo da qualche parte. Lei sorrideva divertita dalle continue corse a destra e sinistra per ripararci sotto i balconi e le pensiline.
Le tristi parole sembravano scomparse dai suoi occhi. Non pensava più a me… o almeno non lo dava a vedere. Non so se è cosa comune alle donne interessarsi alle storie malinconiche e incasinate. Può darsi che sia la tanto nominata curiosità femminile. Non saprei. Magari Sara in quel momento mi voleva bene davvero. Quelle cose che le avevo detto e rivelato solo a lei, magari le sentiva, le capiva, le scendevano in fondo al cuore e s’immaginava nella mia situazione. Come avrebbe affrontato i miei problemi? Sarebbe scappata come me? Li avrebbe affrontati? Oppure cosa?
“Cosa?”… era la domanda chiave a quel tempo.
Oggi mi sarei dato una risposta empirica… ossia quantificare il problema e pensare ad una strategia. Analizzare gli elementi, studiare i fondamentali, formulare ipotesi. Ma qui niente matematica… niente economia… niente formule ne grafici. Solo parole… fatti… e storia.
A ripensaci ora… a distanza di cinque… sei anni… magari ci rido anche su. Però, ripensare agli stati d’animo, mi faceva capire quando davvero fossero stati pesanti quei giorni. Quando le forze mi abbandonavano e quando mi richiudevo nella mia camera seduto per terra a guardare il soffitto. Inerme… Le giornate sembravano interminabili a volte. Era come guardare un fiume in piena dall’alto di un ponte che portava via quel che restava della tua vita. Un fiume proprio uguale a quello che vedevo. Su quella strada che affacciava sull’acqua. …è c’è qualcun’altra qui con me… direbbe qualcuno. Un’amica a cui ho confidato tutto. A cui ho detto che lei era stata qui, insieme a me a vedere lo stesso fiume. E ne ridevamo… di un giorno passato insieme.
E il mio cuore urlava a gran voce la sua presenza. I suoi occhi… il suo volto… i suoi morbidi capelli… E so che sbagliavo ad attaccarmi a quelle illusioni. So che non potrà più essere così. Il passato è già stato scritto… e può solo essere ricordato.
Mi appoggiai con le braccia al parapetto. Il mio sguardo fissava l’orizzonte. Sotto di me, come ho detto, c’era il fiume. E la pioggia continuava a battere.
– Dai… ora non pensarci più… – disse Sara avvicinandosi.
– La vita continua… e il presente è fatto di mille realtà… –
– Hai ragione… ma quando c’è troppa realtà…
non resta altro che attaccarsi alle illusioni. –
bello spaces !E le parole sono stupende ,,, complimenti*-*ciaUU
ciaoograzie mille x il complimento..anke quello ke scrivi tu è davvero molto bello =)
è vero a volte ci sembra meno pegi vivere nelle illusini, nel buio perchè in esso possiamo ancora costruire una nostra realta, la realtà che ci piace, ma come direbbe una persona prima e dopo il sogno c\’è la vita da vivere, certo una vita piena di problemi, e a volte ne ha proprio tanti, ma pur sempre la tua vita….. cmq perchè la coca-cola????
a volte illudendoci però ci facciamo più male di quando viviamo la realtà…solo che non ce ne accorgiamo…. [te lo dice una che è attaccata alle illusioni da sempre…]il risveglio dal sogno forse uccide,mai tradisce….